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Dal Watergate all’Irangate

Può essere interessante qualche riflessione ispirata allo scandalo Watergate, una vicenda che mise la parola fine alla carriera di un noto presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, del partito repubblicano.

I fatti avvennero tra il 1972 e il ’74. In sostanza si trattò di un tentativo di spionaggio politico in una sede del partito avversario, quello democratico, in vista della competizione elettorale che avrebbe dovuto portare alla rielezione di Nixon, che aveva già espletato quasi per intero un primo mandato. L’ufficio che fu violato da spie legate al partito repubblicano era collocato in un vasto complesso residenziale e direzionale di Washington D. C. denominato Watergate.

The Watergate Apartments, where many government dignitaries make their home, is seen Dec. 2, 1971.  It borders the Potomac River near the Kennedy Center in Washington.  (AP Photo/Bob Daugherty)

The Watergate Apartments, where many government dignitaries make their home, is seen Dec. 2, 1971. It borders the Potomac River near the Kennedy Center in Washington. (AP Photo/Bob Daugherty)

 

Il fatto sarebbe potuto anche passare sotto silenzio, ma la tenace inchiesta giornalistica di due redattori del Washington Post portò alla scoperta di quanto era avvenuto. Venne fuori anche che il presidente, che nel frattempo era stato rieletto, non era ignaro di queste trame e che aveva anche cercato di insabbiare le indagini. Nell’estate del ’74 Nixon, ormai vicino ad essere messo sotto accusa, fu costretto a dimettersi. Gli subentrò il vicepresidente Gerald Ford.

La vicenda suscitò un clamore enorme, e da questo è scaturito l’uso giornalistico di coniare neologismi caratterizzati dalla presenza del suffisso –gate: ad esempio Irangate, Sexgate, Russiagate, sempre allo scopo di trovare una definizione sintetica per scandali politici di una certa rilevanza.

Poche parole a proposito dell’Irangate, forse il più interessante tra i casi citati. Si tratta di fatti degli anni ’80, avvenuti all’epoca del secondo mandato di Ronald Reagan, un presidente repubblicano che seppe conquistarsi molte simpatie presso i suoi connazionali, ma fu al contempo molto discusso, specie all’estero.

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La vicenda riguarda l’Iran, stato mediorientale tra i più importanti per estensione e per rilevanza strategica, essendo tra l’altro un grande produttore di petrolio. In Iran si era verificata nel 1979, una rivoluzione epocale: il monarca che governava il paese da molti anni, alternando il pugno di ferro a tentativi di riforme modernizzanti, fu costretto a fuggire da una sollevazione popolare. Il potere passò nelle mani del clero musulmano scita, e capo supremo fu nominato l’ayatollah Khomeini, un anziano religioso molto amato che da anni era stato costretto all’esilio a Parigi. Fu imposta la legge islamica, ovvero la politica del paese fu impostata sulla base dell’applicazione stretta di tutti i dettami del Corano, e lo stesso avvenne anche per l’amministrazione della giustizia.

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I cittadini iraniani accettarono tutto ciò in maniera spesso entusiastica, anche se non mancarono casi di oppositori perseguitati dal nuovo regime, che negli anni non è apparso per nulla più liberale del precedente, e tuttavia resiste da allora sino ad oggi.

Un altro particolare di estrema importanza: l’Iran del nuovo regime si presentò fin dai primi giorni come decisamente ostile agli Stati Uniti, accusati di aver sfruttato a lungo – in passato – le risorse petrolifere del paese, con il favore del sovrano deposto. Mentre avveniva la rivoluzione, la folla assediò l’ambasciata Usa nella capitale Teheran, finché quasi tutti i dipendenti americani furono presi in ostaggio. Solo dopo una lunga trattativa i prigionieri furono rilasciati, ma ci volle un anno abbondante, e l’umiliazione per l’America fu grande, anche perché un tentativo di liberare gli ostaggi con un’azione militare fallì miseramente.

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L’Iran era quindi una nazione nemica degli Stati Uniti. Tuttavia, pochi anni dopo il ’79, mentre era in corso una guerra tra lo stesso Iran e il vicino Iraq, gli Usa decisero di vendere segretamente armi proprio all’Iran. Con i proventi di questa operazione poi, il governo americano finanziò, in Nicaragua, nazione centroamericana, dei guerriglieri locali ostili ad un governo comunista rivoluzionario che si era imposto anni prima.

Anche questo fu un atto realizzato non certo alla luce del sole, ma divenne di dominio pubblico e il presidente Reagan fu messo sotto inchiesta nel 1987, rischiando di non poter portare a termine il suo secondo mandato. Il potente uomo politico si salvò dall’accusa di aver approvato personalmente tutto ciò, anche se fu censurato per quella che potremmo definire mancata vigilanza.

Sul caso Watergate sono stai realizzati vari film, il più importante dei quali è “Tutti gli uomini del presidente”, datato 1976, con Robert Redford e Dustin Hoffmann, due famosissimi attori che impersonarono i giornalisti del Post responsabili dell’inchiesta che svelò lo scandalo.

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Più recente è “Frost/Nixon – Il duello”, la vera storia di una serie di interviste televisive attraverso le quali il presidente dimissionario voleva riacquistare credibilità. Frost è un giornalista di origine inglese non molto accreditato, non per lo meno in campo politico; è solito più che altro intervistare attori e cantanti, e tutti lo sconsigliano di portare avanti questo nuovo incarico, nella convinzione che un politico abile come Nixon riuscirà di sicuro a sovrastare Frost. All’inizio le cose sembrano andare proprio così, ma nel finale Frost mette in difficoltà l’ex presidente, che ammette le sue responsabilità nello scandalo.

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Ancora più recente è “Argo” film diretto dal noto attore Ben Affleck e che racconta un’altra storia vera, questa relativa alla vicenda degli ostaggi americani in Iran: solo sei dipendenti dell’ambasciata americana erano riusciti a uscire in tempo dall’edificio prima dell’irruzione dei simpatizzanti del nuovo regime. Queste persone si erano rifugiate nell’ambasciata canadese: i sei erano però ricercati, e un agente della Cia riuscì a salvarli guidandoli fuori dai confini dell’Iran servendosi di una incredibile messa in scena: fingendo di non essere americano, ottiene i permessi per girare in terra iraniana alcune riprese per un film di fantascienza, facendo passare i ricercati per membri della troupe cinematografica. Terminate le finte riprese, riesce a lasciare l’Iran con i connazionali, evitando loro le gravi conseguenze facili da immaginare. Il film fu premiato con tre Oscar nell’anno 2013.

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Fedro e Velleio

  • Friends, Romans, countrymen, lend me your ears; / I come to bury Caesar, not to praise him. / The evil that men do lives after them; / The good is oft interred with their bones; /So let it be with Caesar. The noble Brutus / Hath told you Caesar was ambitious. / If it were so, it was a grievous fault, / And grievously hath Caesar answer’d it.

 

  • Perché, baciando i pargoli, / La schiava ancor sospira? / E il sen che nutre i liberi / Invidïando mira? / Non sa che al regno i miseri / Seco il Signor solleva? / Che a tutti i figli d’Eva / Nel suo dolor pensò?

Abbiamo visto che è possibile mettere in relazione questi due importanti brani della letteratura inglese ed italiana con i testi studiati di V. Patercolo e di Fedro. Quali sono le operazioni concettuali che permettono ciò? Ovvero, quali sono i collegamenti storico-letterari cui dobbiamo far ricorso? Inquadra poi i due autori nell’ambito della letteratura latina della prima età imperiale.

  • qui Ti. Graccum idem Gaium fratrem eius occupavit furor: come è necessario riordinare la frase per procedere poi ad una corretta traduzione? Non limitarti a riscrivere la frase stessa nell’ordine richiesto, ma spiega in modo discorsivo l’operazione compiuta. Esprimi inoltre qualche considerazione intorno all’importanza del termine furor.
  • Cur – inquit – turbulentam fecisti mihi aquam bibenti? – Atque ita correptum lacerat iniusta nece. In che cosa differiscono aquam e turbulentam dal punto di vista dell’analisi logica? In che caso è bibenti? Correptum ha valore attivo o passivo? Spiega perché.
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IL TRAFFICO ED IL CONSUMISMO NELLA MILANO DEL BOOM

 

da La vita agra di Luciano Bianciardi

 

Appena fuori c’è il traffico che mi investe. Io potrei dire senza calendario che giorno è, proprio dal traffico. Rabbiosi sempre, il lunedì la loro ira è alacre e scattante, stanca e inviperita il sabato. La domenica non li vedi, li senti però, dentro le case, indaffarati coi rubinetti, le vasche da bagno, gli shampoo, i bidet, a sciacquarsi sopra e sotto, specialmente le donne, a rifarsi la testa, le labbra e gli occhi.

Poi, dopo la messa, rieccoli in branco, stimolati dal digiuno, accecati dalla santità della cerimonia, drogati dalla prospettiva del relax, che si avventano al bar per la pastarella, l’aperitivo, e se hai con te un bambino te lo pestano, te lo fanno piangere. Dal bar vanno all’edicola e comprano anche tre, quattro giornali illustrati, spingendosi di lato coi gomiti, perché alla mezza devono andare in tavola e hanno premura.

Il traffico astioso delle auto, la domenica comincia nel primo pomeriggio, perché vanno sempre in branco alla partita. Gli altri giorni sono pericolosi, e chi ha un bambino fa bene a mettergli in testa la paura del traffico, e dirgli attento nini, la macchina ti schiaccia, dai la mano a mamma. Come se fossero lupi, le automobili.

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Diario di un anno di scuola

settembre 2017

Una singolare affinità collega autori ben diversi tra loro quali Giuseppe Parini e Victor Hugo. Separati da un centinaio di anni, entrambi gli scrittori si preoccupano degli umili, delle persone che nella società occupano gli ultimi posti: fatto alquanto innovativo nella letteratura italiana fino agli inizi del decennio ’60 del Settecento, molto più normale un secolo più tardi, in Francia e non solo. Sappiamo che nel “Giorno” Parini critica attraverso l’ironia e la satira la nobiltà milanese, riguardo la quale pensa che dovrebbe ostentare di meno i propri privilegi e svolgere un ruolo fattivo e concreto nella società, contribuendo a far crescere la ricchezza generale e il benessere delle classi meno privilegiate. Una riforma che deve essere innanzi tutto morale, per poi investire l’economia e la politica. Gradualità, moderazione, conservazione di uno status quo che viene considerato intangibile nella sua essenza, ma che può certamente migliorare e progredire da più punti di vista.

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Alberto Batisti – “Il tempo e la musica” (lezione 2)

In sette frammenti video, ecco per intero la seconda lezione che il Maestro Alberto Batisti, insigne musicologo, ha tenuto presso il Teatro Politeama di Prato, trattando un argomento complesso e ricchissimo di suggestioni quale quello del rapporto dell’uomo col tempo nella storia della musica. Dopo essere giunto ai due grandi rappresentanti dell’età del classicismo, Mozart e Beethoven, Batisti riparte da Schubert – che peraltro aveva fornito con il suo lied “Gretchen am Spinnrade”, ispirato dal “Faust” goethiano, aveva fornito lo spunto iniziale per l’intero ciclo di conferenze.

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CATERINA BENINCASA, PICCOLA GRANDE DONNA

Nel film “Il settimo sigillo”, capolavoro (uno dei tanti) di Ingmar Bergman e piccola enciclopedia di cultura medievale, spicca tra i comprimari che si affollano intorno al cavaliere Antonius Block – impegnato nella sua memorabile partita a scacchi con la Morte – un uomo mite e gentile, che poco si cura del fatto di essere spesso preso in giro dal prossimo.

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Playlist 3

Dover partire dal Medio Evo non è un limite, ma una grande opportunità per progettare un percorso culturale stimolante che non esclude frequenti incursioni nella modernità.

E dunque, il Medio Evo. Facendo ricorso ad una periodizzazione convenzionale classica, sappiamo bene come tale lunghissima epoca arrivi fino al 1492, anno della scoperta dell’America. Poi abbiamo l’età moderna, fino alla Rivoluzione Francese, ed infine l’età contemporanea, che comprende l’Ottocento, il Novecento, nonché questi anni di inizio millennio che stiamo vivendo.

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Playlist 2

Un percorso in libertà pensato per una classe quinta del Liceo Scientifico.

Partirei con una ricapitolazione di alcuni aspetti relativi soprattutto alle epoche precedenti i due secoli che più ci interessano, ovvero l’Ottocento e il Novecento.

Consideriamo innanzi tutto l’età di mezzo. Facendo ricorso ad una periodizzazione convenzionale classica, sappiamo bene come tale lunghissima epoca arrivi fino al 1492, anno della scoperta dell’America. Poi abbiamo l’età moderna, fino alla Rivoluzione Francese, ed infine l’età contemporanea, che comprende l’Ottocento, il Novecento, nonché questi anni di inizio millennio che stiamo vivendo.

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Si è detto che il Medio Evo sia quell’epoca nella quale l’uomo si sente in tutto e per tutto dipendente da Dio; successivamente, assistiamo a una fase in cui il singolo si rende indipendente dalla divinità; mentre nell’ultima fase a cercare l’emancipazione sono i popoli: sia quelli che subiscono domini da parte di potenze esterne (si pensi all’Italia e al suo Risorgimento), sia quelli che continuano a cercare di reagire all’assolutismo, riaffermatosi almeno in parte dopo la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna.

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Secondo talune tesi, precursori dello spirito di indipendenza tipico dell’età umanistico-rinascimentale e della modernità in genere non mancherebbero già nel tardo Medio Evo. Sono stati fatti i nomi dell’imperatore Federico II (che più di altri suoi predecessori ha effettivamente esaltato la componente laica del suo potere, contrapponendosi in modo deciso al Papato); e poi quello dei due grandi poeti della prima fase della letteratura italiana, Dante e Petrarca. Se quest’ultimo non ci stupisce più di tanto, dal momento che il poeta del “Canzoniere” è spesso citato per la sua modernità (ed anche perché sembra quasi anteporre la donna amata, Laura, a Dio stesso), diverso è il discorso per l’Alighieri. Da una parte sappiamo benissimo che la “Commedia” – con le sue certezze e con la fede profonda che trova in essa espressione – può rappresentare la quintessenza della cultura e dello spirito del Medio Evo; dall’altra però non si può dimenticare che il gigante fiorentino dà costantemente prova, nel suo poema, di una fortissima personalità, e che – a rigore – si sostituisce a Dio stesso nel punire i peccatori e nel premiare coloro che ritiene degni di misericordia e di salvezza.

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Questa tendenza all’autonomia da parte dell’uomo di genio trova piena espressione nell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento: obbligatorio citare Machiavelli con la sua nuova visione laica della politica, e poi nell’arte abbiamo Michelangelo, che nella Sistina propone un’operazione non dissimile da quella citata prima a proposito di Dante e della sua “Commedia”: in estrema sintesi fa le veci di Dio stesso, creando, ordinando e giudicando. Non sono affatto necessarie, per questo dichiarazioni di ateismo, anzi queste grandiose realizzazioni sembrano voler contribuire alla “maggior gloria di Dio”, ma non possiamo negare l’importanza che in esse ha l’orgoglio del singolo d’eccezione, che si sente grande per le sue capacità e per l’aura leggendaria che cresce intorno al proprio nome.

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Questa volontà di indipendenza viene confermata pienamente in quell’opera fondamentale che apre il Seicento e la vera e completa modernità che è il dramma “Amleto” di William Shakespeare. Il principe danese – per quello che possiamo ricordare – è il primo personaggio letterario occidentale che si trova a tu per tu con un fantasma e rimane scettico di fronte al messaggio che proviene dall’aldilà: potrà credere, sì, nella denuncia paterna, ma solo se troverà conferme grazie ad una sua indagine personale, condotta all’insegna della razionalità esercitata con freddezza. D’altra parte, non credere senza prove è proprio – secondo Massimo Cacciari, uno dei più prestigiosi intellettuali italiani – l’essenza stessa della predisposizione filosofica della Grecia antica, base del sapere dell’intero Occidente. Si potrebbe obiettare che è Amleto stesso a sminuire tale disciplina in una delle più proverbiali battute del dramma: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” (There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy”). Ma l’obiezione è facilmente superabile se si pensa che l’insegnamento universitario dell’epoca (che vari giovani personaggi della tragedia hanno ben presente) era in buona parte basato sul cosiddetto “ipse dixit”, che ancora una volta comporterebbe quella rinuncia al libero esercizio dell’intelletto che nella modernità appare invece fondamentale ed insostituibile.

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Passando poi all’Ottocento, e quindi al secolo in cui il bisogno di gloria del singolo si coniuga non di rado con l’aspirazione alla libertà dei popoli, notiamo che nei vv. 155-198 del carme foscoliano “Dei Sepolcri”, il poeta celebra le “itale glorie” in una vaga prospettiva risorgimentale, ma soprattutto con l’amarezza di chi è consapevole della secolare vicenda di decadenza della patria, nello stesso momento in cui è possibile avvertire l’altezza della missione eternatrice che può svolgere chi fa versi secondo l’ispirazione che fu degli antichi Greci.

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Un percorso il libertà, tra letteratura, storia e cinema, per una quarta classe del Liceo Scientifico.

Nell’episodio di Cimosco (canto IX dell’Orlando Furioso), l’Ariosto presenta un cavaliere fellone che è venuto in possesso di un archibugio di cui si serve per avere facilmente la meglio sugli avversari. Ma non ha fatto i conti con Orlando, che lo sconfigge comunque e che getta l’arma in alto mare, ritenendola un’invenzione diabolica.

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MASSIMO SALVADORI: LE RADICI MALATE DEL LIBERALISMO ITALIANO

Non molti giorni fa – sempre qui su “Punto cultura” – abbiamo analizzato un articolo di Piero Ostellino da cui emergeva un’interessante definizione della democrazia liberale di stampo anglosassone, intesa dal noto giornalista come il regime politico in cui nessuno pretende di detenere una verità assoluta che si identifichi con un’ideologia. Ci si affida piuttosto al concetto di mercato, che viene definito come “la libertà dei cittadini, produttori e consumatori di ricchezza, di perseguire autonomamente i propri interessi. I cittadini (ovvero il mercato) creano inconsapevolmente il bene comune, e i politici – tenendo conto di tali indicazioni – potranno agire in maniera senz’altro perfettibile, ma senza comunque compiere errori irrimediabili (o almeno, riducendo di molto tale possibilità).

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