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Cléo ritratta da Boldini, ovvero Alle radici della fabbrica dei sogni

«Chi non ha vissuto negli anni prima della Rivoluzione non può capire che cosa sia la dolcezza del vivere»; così recita una nota frase attribuita a Talleyrand, da cui Bernardo Bertolucci ha tratto il titolo del suo secondo film. C’è sempre, agli occhi di chi ha la vocazione alla nostalgia, un “prima” che racchiude in sé l’idea di un Eden perduto, in cui sarebbe stato possibile cogliere l’essenza perfetta del senso della vita. Si potrebbe citare il Romanticismo, Leopardi, o anche il Woody Allen di Midnight in Paris, il film del 2011 in cui un giovane americano dei nostri tempi si ritrova magicamente trasportato nel mondo che tanto ha vagheggiato, la Parigi “ruggente” degli anni ’20, quella in cui era possibile incontrare Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda, Hemyngway e Picasso, salvo poi scoprire che anche allora c’era chi, pur essendo pienamente immerso in quell’atmosfera, sognava il suo personale “altrove”, che naturalmente si collocava in un’altra epoca storico-culturale, anch’essa passata per sempre. Si tratta di miti rielaborati a posteriori, sulla base di una realtà oggettiva, certo, ma con il contributo fondamentale di chi quegli universi li ha conosciuti solo indirettamente.

Rientra in questa dimensione parzialmente fantastica anche quel lungo periodo in cui l’Europa occidentale ha sperimentato (o, almeno, questa è la vulgata) più di un quarantennio di pace, di progresso tecnico-scientifico e di libera creatività universalmente noto come Belle Époque. Non si può citare questo momento così celebrato della storia recente del vecchio continente senza pensare, ancora una volta, a Parigi e al suo côté più privilegiato e affascinante, così finemente descritto da Proust nella Recherche e nelle sue cronache mondane. Ma se il malinconico Marcel ne è stato l’acuto indagatore psicologico, quell’irripetibile palcoscenico di mondane vanità ha trovato in Giovanni Boldini il suo ritrattista ufficiale. (1)

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L’artista nacque a Ferrara il 31 dicembre 1842. Nella città estense fu avviato al disegno dal padre Antonio, pittore e restauratore di discrete capacità. Frequentando l’aristocratico salotto della nonna paterna, Beatrice Federzoni, cominciò a familiarizzare con quella vita galante che lo avrebbe irresistibilmente attratto fino ai suoi ultimi giorni. Una certa agiatezza economica gli fu conferita, a vent’anni, da un lascito da parte di uno zio prelato; da quel momento la sua biografia non registra che un susseguirsi di viaggi su e giù per l’Europa, sempre attirato dalla prospettiva di immortalare affascinanti dame della high society che trovano chic farsi ritrarre dal pittore italiano alla moda: eccolo dunque a Firenze, Napoli, Londra, la Germania, Palermo. Qui dipinge Donna Franca, moglie dell’industriale Ignazio Florio, la cosiddetta “regina di Sicilia”, che vantava  tra i suoi ammiratori il kaiser Guglielmo e l’immancabile D’Annunzio (che la chiamava, forse con scarsa fantasia “L’Unica”). Boldini dovette rifare il ritratto della signora, per i mugugni del marito, che non aveva gradito il fatto che sua moglie vi apparisse assai scollata e con le gambe scoperte fino al ginocchio. (2)

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Ma non poteva esserci Boldini senza Parigi. Nella ville lumière il pittore ferrarese soggiornò a lungo e a più riprese, seguito dai più noti mercanti d’arte e sviluppando, per i suoi ritratti, quella caratteristica tecnica fatta di pennellate vorticose che quasi schizzano un colore lucido e vivace. E nella capitale francese, l’italiano non si fa mancare il ritratto di colei che era considerata l’icona della bellezza pura ed eternamente giovane, Cléo de Mérode. Nata dalla relazione tra una baronessa austriaca e un nobile viennese rimasto sempre nell’anonimato, Cléopatra Diane si abituò immediatamente ad essere al centro dell’attenzione: già a tre anni era stata ritratta dal re della fotografia, Nadar, e poco dopo conobbe le luci del palcoscenico dell’ Opéra, dove cominciò a studiare danza. La madre la esibiva ovunque come un fiore di bellezza virginale, quale poteva essere sbocciato da un amore sublime e non certo da un volgare adulterio.

Cleo de Morode

Come ballerina, appunto, Cléo si affermò, anche se ciò che attirava in lei non era tanto il talento, quanto la bellezza, che lei stessa seppe propagandare nel più moderno dei modi. La sua immagine è ovunque, a Parigi: foto, calendari, cartoline la ritraggono come un ideale di bellezza delicatissima e intoccabile, sostanzialmente immune dagli scandali, nonostante il clamore suscitato da una scultura di Alexandre Falguiére, che ne esalta la nudità (3), e le voci di una sua relazione con il corpulento e gaudente Leopoldo II, il sovrano del Belgio ribattezzato maliziosamente dai parigini Cléopolde. (4)

Carlos Vasquez y Obeda (1869-1944) - Cleo De Merode Au Salon
Il dipinto di Boldini, che è del 1901 e fa parte di una collezione privata, si presenta quasi come una celebrazione di quel mito dell’eterna giovinezza che tanto aveva affascinato anche Oscar Wilde. La maglia grigia dai riflessi dorati non fa che esaltare il candore del collo e del petto della giovane, e sullo sfondo, pure grigio, emerge una diagonale più scura che si salda con la linea della scollatura, a dividere in due la composizione, nella quale spicca anche la mano impreziosita da un anello azzurro. L’effetto ottenuto è quello del dinamismo, proprio di un corpo colto nel fiore della bellezza mentre si muove in un insopprimibile quanto delicato anelito di vita.
Progressivamente la bella si ritirò dalle scene e dalla vita mondana, ma non perse mai, si può dire quella vanità autocompiaciuta che la portò, quasi novantenne, a farsi ritrarre ancora una volta da Cecil Beaton. Il celebre fotografo inglese (5) dichiarò di essere rimasto affascinato da quell’anziana signora più che da qualunque diva del cinema che avesse mai incontrato, e ricorda la frase emblematica con cui lo accolse nella sua casa, pronta a posare una volta ancora: «Ricordatevi, sono molto civetta. Mi promettete di distruggere le foto venute male?».

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Note

(1) Il legame tra Boldini è Proust è reso tangibile, tra l’altro, dal fatto che il pittore italiano abbia ritratto il conte Robert de Montesquiou, il noto dandy che avrebbe fornito al romanziere il modello ideale per uno dei personaggi più importanti della Recherche, il barone di Charlus. Il dipinto è oggi visibile al  Musée d’Orsay.

(2) Il ritratto di Donna Franca che abbiamo riportato risale al 1914 (per pura coincidenza, l’anno in cui si fa finire la Belle Époque) e fa parte di una collezione privata.

(3) Il dipinto (anche questo facente parte della collezione di un privato) che abbiamo riportato sopra, opera di Carlos Vasquez y Obeda, ritrae Cléo che osserva, compiaciuta, la celebre statua che tanto fece discutere i parigini.

(4) Leopoldo II fu sovrano del Belgio dal 1865 al 1909. I belgi lo ricordarono positivamente, soprattutto per l’impulso che diede all’architettura della capitale, nonché di Ostenda e di Anversa. Ma su questo monarca grava oggi un’ombra molto pesante, legata al modo in cui spadroneggiò per decenni sul cosiddetto Stato Libero del Congo, che in realtà fu dominio personale di Leopoldo fino ad un anno prima della morte, quando il Parlamento costrinse il re a cedere il territorio al governo del paese. Le testimonianze dell’epoca, peraltro tenute nascoste in modo accurato al popolo belga, redatte da diplomatici e missionari di altri paesi, parlano di orribili soprusi e di criminose punizioni corporali ai danni della popolazione africana, costretta a lavorare in condizioni disumane alla produzione della gomma naturale. Il Congo – per inciso – è la terra in cui si avventura il marinaio inglese Marlow, inviato alla ricerca dell’agente di commercio Kurtz, in Cuore di tenebra di Joseph Conrad.

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(5) Sir Beaton (1904-1980), lavorò per Vogue, fu costumista cinematografico, e in tale veste vinse due Oscar per i film Gigi (Vincent Minelli, 1958) e My Fair Lady (George Cukor, 1964). Come fotografo si specializzò nel ritrarre dive quali  Greta Garbo, Audrey Hepburn e Marilyn Monroe, ma fu anche prediletto dai Windsor per immortalare situazioni ufficiali e momenti di intimità familiare. Qui sotto due immagini relative, la prima al costume indossato dall’indimenticabile Audrey in My Fair Lady, la seconda alla nascita del secondogenito della regina Elisabetta, Andrea. La foto, del 1960, è esposta al  Victoria and Albert Museum.

images       CIS:PH.1806-1987

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