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Il senso del Giorno della Memoria – Conversazione con Lia Levi e Elena Loewenthal

Avendo deciso di istituire, in questo blog, una sezione i cui post prendono spunto dalle date, non posso esimermi dall’occuparmi di quella odierna, così dolorosa nel ricordo ma anche così importante dal punto di vista civile e morale.

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Per farlo, in maniera modesta ma spero anche utile, intendo prendere spunto da una recente conversazione proposta da Radio 3 nell’ambito dell’eccellente trasmissione Fahrenheit, che non esito a definire uno dei miei punti di riferimento culturali.

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Ad animare il dibattito sono state chiamate due scrittrici appartenenti a generazioni diverse, due importanti figure della cultura ebraica in Italia: sono Lia Levi, che ha esordito giusto venti anni fa con Una bambina e basta, in cui ricordava quello che ha vissuto e visto con i propri occhi quando aveva poco più di dieci anni; e Elena Loewenthal, eminente studiosa della tradizione e della letteratura di Israele, nonché docente di cultura ebraica alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

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Va detto che sin dall’avvio la conversazione è stata caratterizzata dal tono polemico assunto dalla Loewenthal, che ha messo in discussione la validità della ricorrenza di oggi in un recente pamphlet dal titolo inequivocabile, Contro il Giorno della Memoria. A detta della ricercatrice infatti, questa giornata è stata trasformata in un consolatorio omaggio o in un incongruo risarcimento nei confronti delle vittime, mentre invece dovrebbe essere un momento di riflessione da parte dei popoli – quello italiano in primis – che hanno la Shoah nella loro storia e che su quanto è accaduto, anche per propria responsabilità, dovrebbero riflettere.
Non condivide questa visione l’altra interlocutrice, che ricorda il ruolo quasi terapeutico attribuito alla memoria dal suo illustre omonimo Primo Levi e cita anche Eli Wiesel, il quale – ad una ragazza che, in occasione di uno dei suoi tanti incontri con gli studenti, chiese: “Ma perché voi ci raccontate tutto questo? Volete che soffriamo quello che avete sofferto voi?” – rispose: “No. Vorremmo solo che diventaste sensibili”. Ogni piccolo contributo, ogni momento di comunicazione che abbatte la barriera tra il “noi” e il “loro” è, a detta della Levi, che è solita recarsi a parlare di questi argomenti nelle scuole, di incalcolabile importanza.

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Pur non negando il merito delle testimonianze e delle iniziative divulgative, la Loewenthal denuncia il pericolo della retorica, e ribadisce di non accettare che il Giorno della Memoria sia inteso come un “favore” agli ebrei. I sopravvissuti, nei primi anni dopo la fine della II guerra mondiale e prima del processo ad Eichmann, avvertivano il bisogno di un oblio, che potrebbe anche essere un legittimo diritto delle vittime; ma, a dire della scrittrice, in Italia siamo ancora in una fase in cui è necessario il riconoscimento del fatto che la Shoah è una storia italiana, che riguarda il nostro paese, a partire dalle leggi razziali del 1938. Il conduttore Carlo De Amicis ricorda allora le obiezioni di altro tipo che spesso vengono fatte alla rievocazione del 27 gennaio e che sono contenute anche in alcuni dei messaggi che giungono in tempo reale alla redazione di Fahrenheit: “Perché si parla solo di ebrei? Perché non si ricordano anche le altre vittime dei campi di sterminio nazisti? Non è proprio con questa pretesa di un esclusiva che gli ebrei generano una reazione di indifferenza, se non di fastidio?”.
La Levi, da parte sua,nega che di fronte al rischio della massificazione (il Giorno della Memoria per il quale le case editrici si affannano a pubblicare testi nuovi da vendere, quasi come se si trattasse di strenne natalizie) ci si debba negare al dialogo con chi vuole ascoltare. Potrà essere una battaglia di minoranza, ma da combattere comunque, proprio da parte di chi non cerca un successo di massa, ma vuole comunicare in profondità con i singoli. Quanto all’interrogativo sul perché lo sterminio degli ebrei possieda una sua specificità unica, la risposta è facile: è stata la prima volta nella storia che una persecuzione è stata attuata non per una “colpa” particolare che venisse addebitata ad un gruppo “nemico”, ma per il semplice fatto che le vittime esistessero: il certificato di nascita diventò per gli ebrei condanna a morte. Tutte le sofferenze devono essere ricordate, ma non in modo indistinto, bensì avendo cura di collocare ogni episodio doloroso nella storia in modo preciso: è un dovere culturale, e cultura è anche distinguere. La battuta conclusiva spetta alla Loewenthal, che rifiuta l’idea che siano gli ebrei a doversi giustificare riguardo al fatto che il Giorno della Memoria sia dedicato allo sterminio da essi subito. La scrittrice dichiara di non voler più essere interpellata in occasione e a proposito di questa data; non come ebrea, quanto meno, semmai come italiana.

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Non si può che ritenere valide e degne di attenzione entrambe le voci, sia quella più provocatoria e addolorata dell’autrice più giovane (figlia di scampati all’orrore), sia quella che potremmo definire più speranzosa e fiduciosa di colei che l’indicibile lo ha visto e sperimentato. Da parte mia, invito tutti a riflettere, non solo in questo giorno, senza retorica ma nella convinzione che nessun messaggio passa se non attraverso il dialogo e la comprensione.

 

 

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