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Il folgorante 1950 di Lucia Bosè

Verso la fine degli anni ’70 le adolescenti italiane erano quasi tutte innamorate di un cantante dal nome spagnolo (era infatti figlio di un celebre torero  madrileno), ma che dalla madre italiana aveva preso il cognome e, soprattutto, la bellezza di un fisico longilineo e di un viso delicato e per nulla comune.

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L’artista che piaceva tanto alle giovani italiane è Miguel Bosè, ma chi ha veramente lasciato il segno nella storia dello spettacolo è Lucia, il cui vero cognome, Borloni, era molto meno esotico e portava con sé un sapore più concretamente padano e lombardo. La futura attrice era nata infatti a Milano, il 28 gennaio 1931. Alta un metro e settantatre e indiscutibilmente bella, non passava inosservata nella nota pasticceria milanese in cui lavorava nel dopoguerra, e fu pressoché d’obbligo la sua partecipazione alla seconda edizione di Miss Italia nella vicina Stresa, sul Lago Maggiore. E sebbene tra le concorrenti ci fossero altre aspiranti dive destinate ad affermarsi (Gina Lollobrigida e Silvana Mangano su tutte), la  fascia tanto ambita toccò a lei.

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L’affascinante reginetta di bellezza debuttò al cinema (nel 1950) sotto la direzione di un importante regista, Giuseppe De Santis, che le affidò un ruolo importante in Non c’è pace tra gli ulivi. Si tratta della storia di un’implacabile rivalità tra due pastori, un onesto reduce di guerra vittima di un sopruso (Raf Vallone) e un profittatore avido e prepotente (Folco Lulli), sullo sfondo di una campagna laziale quasi arcaica ma comunque attraversata dalla violenza della Storia e dal potere del denaro. La Bosè è, naturalmente, la donna contesa tra i due e, non senza aver conosciuto esitazioni e debolezze, dedicherà il suo cuore all’eroe buono e ingiustamente perseguitato. (1)

Ma lo stesso anno porta il vero capolavoro che impreziosirà per sempre la carriera della ragazza milanese: a guidarla stavolta è un autore trentottenne, che ha una discreta esperienza come critico cinematografico, come sceneggiatore e aiuto-regista, che però non ha ancora firmato una sua opera in proprio: Michelangelo Antonioni. E se De Santis aveva portato la Bosè tra i pascoli di Fondi, vestendola di abiti campagnoli che non ne frustrano la sensualità, il futuro maestro dell’incomunicabilità (2) sceglie invece, come scenario sul quale far muovere la sua musa, una Milano livida e periferica. In Cronaca di un amore l’attrice interpreta la parte di Paola, una ragazza di Ferrara dal passato oscuro che poi ha sposato un ricco e non più giovane industriale. Grazie al marito può vivere senza preoccupazioni, guidare una Lancia e indossare abiti eleganti, ma è evidente che si annoia. Ricompare nella sua vita Guido (Massimo Girotti), il fidanzato di una sua amica dei tempi ferraresi.

Sono uniti da una storia fosca: Guido, attratto da Paola, ha lasciato morire Giovanna, la sua ragazza, in un incidente domestico, senza far nulla per salvarla. Inizia una relazione tra i due, e se lo squallore delle camere d’affitto in cui la raffinata signora tradisce il marito sembrano anticipare il tono di certe scene di Senso di Luchino Visconti (per inciso, lo scopritore della Bosé e il futuro padrino di suo figlio Miguel), il degrado morale e l’idea del delitto come mezzo per spianare la strada a due amanti clandestini ricordano ancora un film di Visconti, Ossessione.

Paola scopre presto di disprezzare la sostanziale inettitudine dell’amante, ma è sempre più insofferente del marito. Questi, sconvolto dalla rivelazione dell’infedeltà della moglie, esce di strada con la sua automobile e muore, proprio nel momento in cui Paola, una sorta di Lady Macbeth borghese e indifferente, ha convinto Guido a tendere un agguato al consorte. Proprio ora che i due sono liberi, la necessità di un allontanamento si fa palese e Guido si allontana dalla donna con una scusa per non tornare più. (3)

Verrà poi, nella vita dell’attrice, il matrimonio con il torero Dominguin e la frequentazione di personaggi leggendari come Picasso ed Hemingway. Il cinema resterà l’amore della vita di Lucia, un amore contrastato dal marito, possessivo e infedele, dal quale si separerà nel ’67. Altri film e altri registi (4) porteranno fama ed esperienze nella vita di questa donna inquieta ed appassionata, ma questi sono le storie e le immagini attraverso cui ho voluto portarla alla vostra attenzione, insieme al ricordo di una stagione irripetibile del cinema italiano.

NOTE

(1) Delle caratteristiche tecniche di questo film così parla Paolo Mereghetti nel suo Dizionario dei film edito da Baldini Castoldi Dalai: “una messinscena quasi brechtiana, assolutamente originale nel cinema italiano del periodo. L’uso sapiente della profondità di campo, l’utilizzo della voce off in prima persona e la recitazione straniante degli attori ne fanno un’opera stilisticamente raffinata, senza tuttavia soffocare gli aspetti emozionali del racconto”.

(2) A distanza di una dozzina d’anni questi aspetti del cinema di Antonioni saranno divenuti tanto proverbiali che diverranno oggetto di ironia nel Sorpasso di Risi, dove il personaggio interpretato da Gassman, Bruno Cortona, dirà: “la solitudine, l’incomunicabilità, poi quell’altra cosa, quella che va di moda oggi… la… l’alienazione, come nei film di Antonioni. Hai visto L’eclisse? Io c’ho dormito, ‘na bella pennichella…”.

(3)  Sentiamo Mereghetti anche su questo film, in cui il maestro ferrarese debutta “prendendo le distanze dal neorealismo e inaugurando il cinema del disagio esistenziale a colpi di lunghi e lenti piani sequenza, in contrasto con la sintassi spezzata degli anni ’40”.

(4) Tra i grandi autori con cui ha lavorato la Bosè successivamente a Cronaca di un amore, ricordiamo Buñuel, Cocteau, i Taviani, Fellini, la Cavani, Bolognini, e Rosi.

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