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Long John e il sogno dell’emigrante

Un metro e ottantasei per ottanta chili: altezza e peso giusti per un centravanti. Ma, nella prima metà degli anni ’70, non erano molti gli attaccanti italiani a poter vantare simili dati antropometrici. Più facile sarebbe stato incontrare punte così strutturate in terra britannica. La Lazio di Tommaso Maestrelli, però, un po’ di Inghilterra nel Dna ce l’aveva, anche se quelli erano tempi autarchici, per il nostro calcio.

Tra i biancazzurri, tanto per cominciare, ne figurava uno con il cognome inglese: Wilson, il capitano, che in terra d’Albione era nato davvero, a Darlington, figlio di una napoletana e di un soldato inglese che aveva combattuto nella II guerra mondiale;

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e poi, soprattutto, c’era lui, Giorgio Chinaglia, l’attaccante possente cui si accennava all’inizio, il giocatore cui i tifosi laziali devono una parte consistente delle soddisfazioni che vennero in quel periodo. In verità Long John, come fu ribattezzato, era nato in Toscana da genitori del tutto italiani; però si ritrovò catapultato a Cardiff, nel Galles, a meno di dieci anni. Una storia di emigrazione come tante, con il classico ristorante italiano da gestire dopo il duro inizio in miniera per papà Mario. Quel ragazzo che cresceva alto e robusto pareva portato per il calcio, e trovò posto nello Swansea City. Insoddisfatto dello spazio che gli veniva concesso, Giorgione tornò in Italia con il padre. All’Internapoli, formazione partenopea di serie C, conobbe Pino Wilson, ed entrambi passarono alla Lazio – neopromossa in A – nel 1969. Nei primi due campionati Chinaglia realizza prima 12, poi 9 gol. Non bastano per evitare la retrocessione in B (non erano certo anni ricchi di soddisfazioni per le squadre capitoline, quelli). Ma la stagione 1971-72 è decisiva per gli aquilotti: arriva in panchina Tommaso Maestrelli, un tecnico capace e pronto a diventare una figura paterna per i suoi giocatori e soprattutto per il focoso centravanti, che aveva dato prova di un carattere difficile fin dagli esordi in Galles. Di Maestrelli Chinaglia si fida pienamente, da lui si lascia guidare, e i risultati arrivano: 21 gol, capocannoniere per la serie B, e immediato ritorno in A.

Ma è solo l’inizio dell’avventura. Il campionato 1972-73 è segnato da un’esaltante cavalcata a tre, e alla vigilia dell’ultima giornata la classifica recita: Milan 44 punti, Lazio e Juventus 43. Come andò lo sappiamo bene: per i rossoneri ci fu la “fatal Verona”, che ho già rievocato anche su questa pagina, nel post dedicato a Luciano Chiarugi; anche per i laziali, sconfitti contro il Napoli, la trentesima partita fu amara; mentre gli unici a vincere furono i bianconeri, a Roma, con un tiro da fuori di Cuccureddu in extremis, e fu scudetto juventino. Certo, per essere una neopromossa, la Lazio aveva comunque disputato un ottimo campionato. Ma il bello venne l’anno dopo: più esperti e decisi, i biancazzurri acquisirono un vantaggio di tre punti sulla Juventus, che mantennero pressoché inalterato per tutto il girone di ritorno, e il tricolore stavolta arrivò davvero, il primo per la società romana, il 12 maggio, contro il Foggia. Viene fischiato un calcio di rigore per gli aspiranti campioni: sul dischetto piazza la sfera Long John, che di palloni in rete ne ha già scaraventati 22, e fa centro anche questa volta, portando Maestrelli e i suoi nella storia.

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Una domenica dopo Chinaglia segnerà ancora, contro il Bologna, diventando capocannoniere con 24 reti. Il 1974 è anche anno di Mondiali, ma per l’Italia, che sperava di far meglio del secondo posto di 4 anni prima in Messico, furono Mondiali drammatici, come possiamo leggere nell’eccellente romanzo AZZURRO TENEBRA firmato da Giovanni Arpino. Già la prima partita non fu esaltante: una vittoria contro Haiti più sofferta di quanto non dica il 3-1 finale e, in quello stesso match, l’episodio-scandalo: Chinaglia, spedito negli spogliatoi anzi tempo, manda clamorasamente a quel paese il mister Uccio Valcareggi davanti alle telecamere di mezzo mondo.

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Poi un pari con l’Argentina e una inequivocabile sconfitta contro gli astri nascenti del calcio europeo, i polacchi di Casimiro Deyna che si piazzeranno al terzo posto dietro i padroni di casa tedeschi guidati da Kaiser Franz Beckembauer e i favolosi olandesi del profeta del gol Cruyff. Una disfatta, ma Chinaglia in testa ha un nuovo sogni: gli Usa, il soccer miliardario che gli promette ingaggi da favola. Ci si trasferirebbe subito, ma è bloccato a Roma da un altri due anni di contratto. Non aspetta neppure la conclusione del campionato 1975-76, e già sbarca a New York. È il 17 maggio 1976, l’America è in fermento per il Bicentenario dell’Indipendenza, e il Giants Stadium è pronto ad ammirare le gesta del campione italiano che indossa per la prima volta la maglia biancoverde dei Cosmos; i dollari sonanti hanno già convinto a vestire la stessa casacca il già citato Beckembauer e, addirittura, il più grande di tutti i tempi, Pelè. Quella prima partita finisce 6-0, con una doppietta a testa per Giorgione, per “o rey”, e per il meno famoso Keith Eddy. In seguito, verranno per Chinaglia vicende amare, ed infine una morte prematura per problemi cardiaci, il 1º aprile 2012. Ma io voglio chiudere qui questa rievocazione di un campione generoso e indomabile, con la rivincita da sogno per il figlio di emigranti accolto come un eroe nella “Grande Mela”.

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Era il 1976, e in Italia spopolava il 45 giri di un giovane cantautore crotonese, Rino Gaetano; e tra quei versi bizzarri ma pieni di senso, risuona anche il nome del bomber protagonista del clamoroso trasferimento: “Mio fratello è figlio unico / perché è convinto / che Chinaglia non può passare al Frosinone”. Al Frosinone no, ai Cosmos sì, naturalmente.

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