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Onore e rispetto per Gigi Radice

Compie oggi 79 anni Gigi Radice (nato il 15 gennaio 1935), un grande personaggio del calcio italiano, purtroppo da tempo gravemente malato. Tanto più ritengo sia giusto ricordarlo, partendo dall’impresa più esaltante della sua carriera di allenatore, la conquista dello scudetto alla guida di quel memorabile Torino in cui giocavano Claudio Sala, Pulici, Graziani e altri campioni ancora.

Si trattò di una cavalcata esaltante, che portò il Toro a rimontare un distacco di 5 punti dalla Juventus in sole tre partite, a cominciare dal 21 marzo 1976, quando i bianconeri persero a Cesena dopo essere passati in vantaggio. Vennero poi altre due disfatte, una nel derby, l’altra contro l’Inter. Il 4 aprile la situazione era ribaltata, con il Toro primo in classifica, in vantaggio di un punto. Si arrivò così al finale testa a testa, il 16 maggio. Il Torino, in casa, non riuscì a battere il Cesena, bella squadra di quei tempi, con Pippo Marchioro in panchina e la gloria umbra Boranga in porta; se la Juventus avesse vinto, sarebbe stata un’atroce beffa per gli uomini di Radice; ma invece Ciotti da Perugia annunciò, nel corso di “Tutto il calcio minuto per minuto”, una svolta ben diversa da quella auspicata dai supporters bianconeri: erano stati i grifoni a segnare, con un tiro al volo di Renato Curi su cross dalla destra di Novellino. Perugia-Juventus 1-0! Fu il trionfo per i granata ma, come si può vedere da questo filmato d’epoca, il “sergente di ferro” Radice rimase molto contrariato dalla mancata vittoria contro i romagnoli! (1)

L’ avventura nel mondo del calcio di Radice, lombardo di Cesano Maderno, era cominciata nella prima metà degli anni ’50, quando era approdato alle giovanili del Milan. Difensore laterale, aveva dovuto aspettare qualche anno e fare esperienza anche nella Triestina e nel Padova, per guadagnarsi un posto da titolare tra i rossoneri che conquistarono lo scudetto e la Coppa dei Campioni tra 1962 e 1963. (2)

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Lasciò poco dopo il calcio giocato per un infortunio e iniziò subito l’esperienza da allenatore. La prima panchina importante per Gigi fu quella del Cesena, che guidò alla promozione in serie A nella stagione 1972-73. Poi esperienze interlocutorie alla Fiorentina e al Cagliari, fino all’ingaggio da parte del Torino, nel 1975; e fu subito scudetto! L’anno dopo la squadra granata si impegno in un duello durissimo ed esaltante contro la Juventus di Trapattoni: le due compagini della città della Mole seminarono tutte le altre avversarie, arrivando al traguardo con un numero di punti persi ridottissimo rispetto ai 60 potenziali (all’epoca il campionato era a 16 squadre e la vittoria fruttava 2 punti). Sul filo di lana furono i bianconeri ad arrivare davanti per una sola lunghezza: 51 punti contro 50!

Il rapporto del “sergente di ferro” con i granata si interruppe poi nel 1980; e iniziò subito per Radice un’altra avventura memorabile, quella col Bologna, reduce da una pesante penalizzazione (5 punti), in seguito allo scandalo del “calcio-scommesse” dell’anno precedente. Una sfida quanto mai ardua, ma il tecnico la affrontò da par suo, sfoggiando un gioco elegante e spettacolare che fruttò una salvezza tranquilla e soddisfazioni clamorose, come la vittoria ottenuta in trasferta contro la Juventus, il 5 ottobre 1980, con gol di Adelmo Paris. Radice era stato tra i primi, all’inizio del decennio precedente, a portare in Italia elementi del nuovo verbo calcistico internazionale il “calcio totale” praticato dall’Ajax e dalla nazionale olandese dei fuoriclasse Crujff e Neskens. Ma oltre che nella modernità nell’impostazione del gioco, la forza di questo allenatore stava nel carattere forte e battagliero che riusciva a trasmettere ai suoi uomini. “Il Bologna gioca un calcio primordiale, tutto cuore e grinta: siamo gli indios del pallone”: erano dichiarazioni come queste a rendere le squadre di Radice capaci di qualsiasi imprese. (3)

Seguirono ancora altri ingaggi per l’uomo di Cesano Maderno, con ingaggi prestigiosi da parte di clubs come Milan, Inter, Roma. Ma il nome di Radice resterà sempre legato a quello straordinario Toro di campioni e di uomini veri che regalò ai tifosi una gioia immensa.

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Una stagione che è stata recentemente rievocata da Eraldo Pecci, l’estroso centrocampista romagnolo che fu uno dei grandi di quell’epoca e che ha pubblicato (per Rizzoli) un libro dal titolo emblematico, Il Toro non può perdere. Ed è vero, su un piano ideale, naturalmente. Perché vince sempre e comunque nel cuore dei suoi tifosi.

NOTE

(1) Va detto che il pareggio contro il Cesena comportò il mancato coronamento di un’impresa notevole per quel Toro, ovvero l’en plein di vittorie casalinghe; in ogni caso, le 14 vittorie su 15 conseguite dagli uomini in maglia granata in quella stagione rappresentano il record in questo ambito per quanto riguarda i campionati a 16 squadre.

(2) La foto che segue si riferisce ad un’altra finale di Coppa dei Campioni, quella persa dal Milan ai supplementari (3-2 il punteggio finale) il 28 maggio 1958 contro il Real Madrid. Radice è riconoscibile perché precede il giocatore in maglia nera, il portiere del Milan Narciso Soldan.

(3) Lo spirito un po’ guascone non impediva al tecnico lombardo di riconoscere i meriti degli avversari, come prova questa cavalleresca dichiarazione apparsa sulla Stampa del 1 febbraio 1991: “La Juve vince tutto e qualcuno non capisce perché. Vada a prendere un caffé insieme con Scirea o Cabrini e parli loro cinque minuti. Bastano per scoprire che sono uomini veri, cosa hanno dentro. Con questi campioni si vince, con i campioni del mondo, d’Europa, di tutto, che non si stancano di migliorare, che sono fuoriclasse e guadagnano meno di tanti altri loro colleghi inferiori come bravura, però restano dove sono perché vivono bene e trasmettono a chiunque questi valori. E la Juve vince. Capito?” La battuta precedente è invece tratta da un volume pubblicato dalla casa editrice Dalai nel 1992 ad opera di Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare.

 

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