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Rodolfo Sonego e la vita difficile degli italiani

Ogni film racconta una storia, ma i titoli di testa di ogni pellicola ne raccontano molte altre, che potrebbero finire sullo schermo a loro volta, e non è detto che non ci finiscano. Scorrono i nomi, e magari non ci facciamo molto caso, ma dietro quelle professionalità fondamentali per l’industria cinema ci sono vicende umane degne di essere raccontate.

Prendete per esempio i montatori, e nomi come quelli di Eraldo Da Roma o di Ruggero Mastroianni (fratello del grande Marcello), che hanno lavorato a decine e decine di film italiani del Novecento, e immaginatevi quanto ci sarebbe da dire su quelle vite passate alla moviola; oppure agli sceneggiatori, a questi scrittori prestati al cinema che, a differenza dei loro colleghi letterati, spesso così individualisti, sono abituati al lavoro d’equipe. Oggi ricorre l’anniversario della nascita di uno di loro, Rodolfo Sonego, il cui nome non stenteranno a ricordare i tanti appassionati dell’arte comica di uno dei più grandi attori italiani, Alberto Sordi. Sonego infatti, nato in provincia di Belluno il 27 febbraio 1921, fu lo sceneggiatore di fiducia del grande artista della capitale, con il quale collaborò per numerosi film.

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Praticamente coetanei (Sordi era del ’20), eppure molto diversi, il romano estroverso e un po’ sbruffone e il veneto riservato, rigoroso e ironico trovarono un magico punto d’intesa, raccontando per anni e anni gli italiani e il loro modo di essere senza mai uno screzio, condividendo anzi non solo il lato professionale della vita, ma anche – e soprattutto – un’intensa amicizia.

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Tutto era cominciato nel 1954, con “Il seduttore” di Franco Rossi. Davvero la simpatia tra i due nacque prima ancora che fosse presa la decisione di realizzare un film insieme. Si incontrarono a casa del regista, in una riunione di intellettuali, ma Sordi trovava li inconcludenti, e stava per andarsene, quando fu colpito da uno di loro, con cui attaccò discorso, uscendo dall’abitazione di Rossi; stabilità l’intesa umana, venne anche il sodalizio professionale, che si protrasse poi fino al 1998, con “Incontri proibiti”, l’ultima regia dell’Albertone nazionale. In mezzo, tanti titoli memorabili e conosciutissimi: “Bello, onesto, emigrato Australia…”, “Lo scopone scientifico”, “Io so che tu sai che io so”, “L’avaro”, solo per citarne alcuni. Ma è uno il film che più appartiene a Sonego, perché racconta una parte della sua vita, la più avventurosa e coinvolgente: è “Una vita difficile” (1961), un vero capolavoro, che porta la firma di Dino Risi.

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Perché, molto prima di arrivare al cinema, Sonego era stato un giovane soldato italiano in procinto di partire per la campagna di Russia; ma, sorpreso a leggere gli scritti di Lenin, fu destinato ad una compagnia di correzione di stanza in Piemonte. Fu una fortuna, perché nessuno dei compagni di battaglione Rodolfo tornò vivo da quella drammatica odissea. L’8 settembre del 1943 lo riporta, avventurosamente, in Veneto, dopo di che la scelta della militanza partigiana fu una conseguenza diretta del suo antifascismo che era già in nuce negli anni precedenti. Dopo incarichi di grande responsabilità nella Brigata “Fratelli Bandiera”, vennero il trasferimento a Roma, le iniziali difficoltà economiche e le prime sceneggiature, fino all’incontro con Sordi di cui già si è detto.

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“Una vita difficile” racconta molte di queste vicende, seguendo la storia di un giornalista ex-partigiano tornato nell’Urbe per fare il giornalista; qui scoprirà che i grandi ideali di rinascita etica della nazione stanno già per essere sopraffatti da “un clima di opportunismo politico, di stagnazione intellettuale e di lassismo morale”, per riprendere le efficaci espressioni del critico cinematografico Vittorio Spinazzola. Personaggio positivo ma raccontato in chiave grottesca, allo scopo di evitare il rischio della retorica, il Silvio Magnozzi interpretato da Sordi passa di umiliazione in umiliazione, nel tentativo di restare coerente con le sue idee, ma saprà riaffermare la propria dignità con un gesto liberatorio ai danni del suo persecutore, il losco intrallazzatore commendator Bracci (Claudio Gora), che lo ha assunto allo scopo di poterlo tiranneggiare.

Cosa verrà dopo, nella vita di Magnozzi, non è dato sapere, dato che su questa scena (Bracci, colpito con un manrovescio dalla sua vittima, finisce in piscina sotto gli occhi dei suoi ricchi ospiti): data l’Italia meschina e amorale che Sordi e Sonego hanno tratteggiato in seguito, c’è da sperare in poco di buono. Ma vuoi mettere la soddisfazione?

 

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