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La strana storia di Patty, l’ereditiera terrorista

Poi è colpa mia, se finisco sempre per parlare di cinema? in parte sì, lo ammetto, ma molto dipende anche dalla settima arte, che in poco più di 100 anni ha saputo accumulare un tesoro inestimabile di storie, spesso prese dalla realtà, talvolta capaci persino di precorrerla.

Questa storia ha a che fare con gli Hearst, una delle principali dinastie di magnati americani, di quelle che vantano un capostipite partito dal nulla, arricchitosi poi improvvisamente, a tutto vantaggio di eredi abili nell’aumentare a dismisura la fortuna di famiglia.

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È proprio quanto si può raccontare degli Hearst, nel cui albero genealogico troviamo prima un cercatore d’oro  – George – baciato dalla dea bendata nel 1849; e poi suo figlio, William Randolph, uno degli uomini più potenti d’America tra Ottocento e Novecento: a capo di un gigantesco impero editoriale, tenta anche l’avventura politica, diventando deputato per il Partito Democratico, ma fallendo la corsa al posto di Governatore dello Stato di New York. Ma a tutto questo bisogna aggiungere un egocentrismo sfrenato ed uno smisurato amore per il lusso, che lo portano ad accumulare tesori d’arte e a circondarsi di ogni espressione del kitsch in un castello in California, chiamato La Cuesta Encantada. Ora, provate a vedere il capolavoro di Orson Welles, quel “Citizen Kane” (“Quarto potere” nella versione italiana) del 1941, che un buon numero di critici e di enciclopedie della storia del cinema considerano il film più importante di tutti i tempi: vedrete che tutto combacia, comprese le vicende sentimentali del protagonista – che trovano riscontro in quelle di Heart – e le bestie esotiche ospitate nello zoo privato del castello di Xanadu (che è il nome che Welles attribuisce alla versione cinematografica della residenza da sogno che anche il suo Kane – alter ego del vero Hearst – possiede).

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William Randolph muore nel 1951, quindi non fa in tempo a conoscere Patricia Campbell Hearst, la terza figlia di suo figlio, nata il 20 febbraio del 1954. La potete vedere nell’immagine che correda questo post, risalente all’epoca del suo arresto, nel settembre del 1975. Infatti, si tratta evidentemente di una foto segnaletica, scattata in una stazione di polizia. Ora, siamo da tempo abituati a notizie relative all’arresto di giovani star: Winona Ryder, Lindsay Lohan, Paris Hilton, ci sono passate tutte. Ma il caso di Patty Hearst fu però molto diverso: l’accusa non riguardava la guida in stato di ebbrezza, piccoli furti o simili bravate da ragazze ricche e viziate. Qui i capi di imputazione erano di estrema gravità: possesso di armi da fuoco, rapina a mano armata, addirittura omicidio.

Come si era arrivati a tutto ciò? non mi dilungherò più di tanto, ma ricorderò solo che Patty era stata rapita, nel 1974, da un’oscura organizzazione terroristica denominata Esercito di Liberazione Simbionese. Lo scopo era, evidentemente, l’estorsione, ma poi avvenne qualcosa di imprevedibile. La vittima solidarizzò con i suoi rapitori, si appassionò alle loro idee, e decise di seguirli nella lotta armata. L’intera America rimase scioccata quando le immagini registrate dalle telecamere di una banca di San Francisco ripresero in modo chiaro la giovane ereditiera che prendeva attivamente parte ad una rapina,con altri terroristi. Più tardi la ragazza venne arrestata, e la prima condanna fu durissima: 35 anni di detenzione, anche se non fu riconosciuta colpevole di omicidio. In seguito però gli avvocati della potente famiglia, giocando la carta del lavaggio del cervello e di uno stato di semi-infermità dovuto al trauma del rapimento, ottennero forti riduzioni della pena, anche in virtù di una grazia concessa dal Presidente Jimmy Carter.

Su di lei, naturalmente, fu girato un film, dal titolo “Patty – La vera storia di Patty Hearst”, del 1988 (peraltro con la prestigiosa firma di Paul Schrader alla regia). Ma trovo molto più interessare citare un altra pellicola, di cui mi sono occupato in modo più diffuso in uno dei primi articoli comparsi su questo blog: parlo di “In time”, opera del 2011 di Andrew Niccol, interpretato da Justin Timberlake e da Amanda Seyfried. Quest’ultima è impegnata nella parte di una giovane e affascinante ereditiera, presa in ostaggio da un giovane dei quartieri degradati, di cui poi si innamora e col quale si mette a rapinare banche. Solo che la vicenda è ambientata in un futuro distopico, in cui l’invecchiamento è stato sconfitto, e chi è ricco ha davanti a sé moltissimi decenni di vita; i poveri invece rischiano di morire a 25 anni, o poco dopo. Il bene da rubare, magari per redistribuirlo più equamente, è dunque il tempo, immagazzinato in appositi accumulatori per essere oggetto di transazione, o dell’accaparramento da parte dei più fortunati (e avidi). Impossibile non rivedere, nella bella Amanda che si ribella al sistema di cui suo padre è uno dei massimi esponenti, un’allusione alla strana vicenda di Patty Hearst. Che è diventata anche il personaggio di un ambizioso romanzo di Christopher Sorrentino intitolato “Pastorale Americana”, da noi edito da Mondadori, nel 2006.

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