valut

La valutazione e la scuola: quando a prendere i voti non sono gli studenti ma chi li forma

Ancora una volta farò ricorso, per trattare un tema di particolare attualità , al prezioso apporto della trasmissione Fahrenheit di Radio 3, che è solita dedicare regolarmente uno spazio significativo ai problemi della scuola. Perché è questo l’ambito di cui tratteremo oggi, e la questione specifica, molto delicata e complessa, non riguarda affatto solo gli insegnanti, ma anche gli studenti e le loro famiglie, e dunque la società italiana nel suo complesso. Insomma, il tema è: la valutazione della scuola, ovvero come arrivare a dire se l’azione educativa e didattica di ogni singolo istituto scolastico è o meno efficace, e in base a quale criteri stilare una graduatoria che valorizzi i meriti delle scuole che lavorano bene e evidenzi i ritardi di quelle che devono migliorare il loro rendimento? Ma, prima di tutto: è giusto procedere a valutazioni di questo tipo? Se ne sente davvero il bisogno, e quali rischi sono connessi a simili operazioni?

Alla base di tutto ci sono i test Invalsi, cioè quelle prove scritte che l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione ha proposto, prima a scopo statistico, poi – dal 2009 – con risvolti concreti nella valutazione dei singoli alunni nell’ambito dell’esame con cui termina il primo ciclo di istruzione. Tali prove riguardano l’italiano, la matematica e, da quest’anno, anche l’inglese, e sono rivolti anche alle scuole medie e alle classi seconde delle scuole superiori. Esse hanno dato adito a molte critiche e polemiche, riguardanti innanzi tutto il fatto che le prove sono basate sulla “somministrazione” (termine tecnico che genera non di rado battute ironiche) di test a risposta chiusa; poi in molti hanno fatto notare che, per fare bella figura, in alcuni casi i risultati sarebbero stati manipolati dagli insegnanti stessi (e questo si sarebbe verificato in modo molto più significativo al Sud che al Nord); infine c’è da dire che il mondo della scuola ha finora vissuto molto negativamente questa iniziativa, giudicandola invasiva e poco “amichevole” nei confronti dei docenti.

download

Premesso tutto ciò, proverò a sintetizzare la conversazione che la conduttrice di Fahrenheit, Loredana Lipperini, ha guidato nel primo pomeriggio del 18 febbraio di quest’anno, nell’imminenza di un evento significativo in merito a questo tipo di problematica, e cioè la presentazione a Roma, nella sede della casa editrice Laterza, del rapporto della Fondazione Agnelli intitolato ” La valutazione della scuola. A che cosa serve e perché è necessaria all’Italia”. Ospiti di Loredana sono stati proprio il direttore della Fondazione stessa (da anni concentrata in modo specifico sui problemi dell’istruzione), Andrea Gavosto; lo storico Mauro Boarelli, che per la rivista “Gli Asini” ha curato un numero dedicato a “valutazione e meritocrazia”; e lo scrittore Eraldo Affinati, autore di un recente libro significativamente intitolato “Elogio del ripetente”, ma anche insegnante attivo nella storica comunità romana “La città dei ragazzi”, che si prende cura di giovanissimi immigrati.

download (1)

Si comincia dunque con Andrea Gavosto che ribadisce per prima cosa come, a suo giudizio, valutare la scuola nel suo complesso sia necessario; ciò non significa poi valutare il singolo docente, ma l’istituto nel suo insieme, e non solo dal punto di vista degli apprendimenti. Esistono esperienze non italiane cui guardare, e il direttore della Fondazione Agnelli ricorda che il dibattito feroce, che sulla materia infuria da noi, non è un’anomalia italiana. Non sono mancate polemiche anche negli altri paesi che si sono già attivati in questo senso e, ad esempio, in Norvegia un progetto governativo equiparabile ai test Invalsi non aveva funzionato, poi – in seguito ad un intenso dialogo con il mondo della scuola e quindi con gli insegnanti – si è arrivati a un sistema ora ampiamente condiviso.

INVALSI

Secondo Gavosto i test Invalsi costituisconono una buona base di partenza; la Fondazione Agnelli propone però di affiancare ad essi anche l’osservazione diretta da parte di gruppi di ispettori che si dovrebbero recare nelle scuole, dialogare con tutte le componenti e stilare infine un rapporto. Se il livello certificato è buono – questo è l’altro punto della proposta – si può concedere alla singola scuola un ampio margine di autonomia, in diversi ambiti.

Anche secondo Mauro Boarelli la valutazione è necessaria, ma non è vero che il mondo della scuola si opponga ad essa; va detto però che possono esistere molteplici sistemi di valutazione e che nessuno di essi è neutrale. Quello proposto dall’Invalsi è un sistema standardizzato, di natura esclusivamente quantitativa, che nasce al di fuori della scuola e stravolge la funzione educativa.

Eraldo Affinati sottolinea che ciò che è necessario è una valutazione della qualità scolastica; ma cosa si intende per qualità scolastica? Non bisogna tenere presente solo il risultato raggiunto, ma anche la situazione di partenza di ogni alunno. Dovremmo conoscere da quale famiglia, da quale ambiente provengono gli studenti. Bisogna tenere presente la complessità del dialogo educativo che si crea all’interno di ogni classe: spiegare significa mettersi al fianco dello studente come guida verso una vetta da conquistare, da parte di ognuno con i propri tempi. Sussistono perplessità sul fatto che si possa emettere un giudizio sul livello di comprensione di un testo letterario attraverso una serie di domande a risposta chiusa. I test – secondo l’insegnante e scrittore – vanno elaborati nell’ambito stesso del gruppo che ha condotto il lavoro, non possono provenire dall’esterno, da parte di chi ignora tutto il retroterra da cui si è partiti, anche se è ovvio che bisogna concordare dei livelli minimi di apprendimento.

images

Naturalmente gli ascoltatori intervengono in modo molto sentito, attraverso varie forme di messaggi: uno di essi sostiene che “si valuta la scuola per certificarne l’avvenuto decesso dopo svariate riforme che a questo miravano”; un altro sembra citare Giovenale nel momento in cui chiede: “Chi valuta i valutatori?”.

Gavosto si dichiara d’accordo sul fatto la valutazione non sia neutrale: essa rispecchia invece un’idea di scuola, ma è proprio questo che è mancato nel dibattito pubblico, cioè un’idea di scuola condivisa nella nazione.

Non è d’accordo invece con gli interlocutori sulla standardizzazione dei test: esistono sistemi che valutano al netto delle condizioni di partenza. È giusto dare lo stesso test a tutti i ragazzi? Sì, perché le prove Invalsi non vengono da una realtà estranea rispetto alla scuola, ma discendono direttamente dalle indicazioni nazionali per il curriculum (i vecchi programmi), che fissano il traguardo delle competenze richieste ai ragazzi; secondo il direttore della Fondazione Agnelli questo rappresenta una forte legittimazione dei test stessi, che sarebbero basati su elementi intorno ai quali – a suo parere – la comunità ha ormai trovato un accordo.

Lipperini ricorda che molti insegnanti vivono la valutazione come una minaccia:come convincerli che procedure simili servono soprattutto a loro, come bussola per l’orientamento nell’attività didattica?

Per Gavosto bisogna eliminare i sospetti, anche giustificati, che ci siano intenti nascosti, come punire il mondo della scuola o tagliare i fondi. La Fondazione Agnelli ha cambiato posizione rispetto all’idea di un sistema di premi e di punizioni, che è poi ciò che porta alla manipolazione dei risultati dei test. Ci vuole molta formazione rivolta agli insegnanti per far capire loro i risvolti positivi della valutazione, ma ciò che Gavosto ribadisce è che bisogna legare la valutazione all’autonomia

Secondo Boarelli gli insegnanti non sono stati coinvolti mai; la percezione della minaccia ha un suo fondamento, l’idea del controllo, dei premi e delle punizioni è una delle storture fondative dell’Invalsi, che sbaglia anche quando crede che tutto il sapere sia misurabile. Il problema è nelle risposte chiuse che richiede un addestramento al conformismo e non allo spirito critico; ridurre l’insegnamento ad una preparazione ai test non è un rischio, per Boarelli, è una realta, lo provano i libri di testo e si tratta di un passo indietro

La conduttrice riporta altri interventi di ascoltatori, quasi sempre insegnanti, nei quali si denuncia il fatto che tutti ritengono di essere in grado di valutare gli insegnanti, mentre nessuno riconosce che ad essi si deve il fatto che la scuola stia ancora in piedi.

Affinati, da parte sua, si chiede: una volta stabilita la graduatoria dei bravi, cosa si vuole fare di coloro che non raggiungono i primi posti nei tempi e nei modi richiesti? Dividere chi riesce e chi non riesce, gli efficienti dai meno capaci, nasconde – a giudizio dello scrittore – una fragilità dei nostri tempi proveniente dalla rivoluzione informatica, che ci ha illuso di poter sottoporre a classificazione la realtà tutta. Chi entra in classe ogni giorno, invece, si rende conto che esiste un mistero nell’adolescenza che non può essere ridotto a schemi, cifre e grafici.

Un progetto a lungo termine, una valorizzazione dell’insegnante e dell’insegnante, questo è ciò che da tante parti si chiede – ricorda la Lipperini – e la Fondazione Agnelli, interviene Gavosto, non chiede di meglio. Ci vuole però trasparenza – prosegue – nei rapporti con le famiglie; quelle più svantaggiate da questo punto di vista sono le meno ricche, le meno dotate di una rete di conoscenze, che poi, da un punto di vista concreto, non sanno in quale sezione iscrivere i figli. Oggi, nella situazione che si è cristallizzata, non si sa se in una scuola si insegna bene, ad esempio, matematica o un’altra disciplina. Non lo sanno le famiglie, non lo sanno le autorità delegate dalle famiglie in questo senso.

images (1)

Le ultime battute sono dedicate all’idea di abolire gli esami di terza media, che la Fondazione Agnelli sostiene. Gavosto ricorda che in Olanda, per citare una realtà diversa da quella italiana, gli studenti sono sottoposti ogni anno ad un esame avente un carattere “comparabile” che da noi non è invece presente. Gli esami di terza media non hanno senso perché l’obbligo scolastico continua, e si auspica ormai un esame delle competenze a 18-19 anni. Gavosto ricorda infine che la sua fondazione sta lavorando ad un portale attraverso il quale le famiglie potranno documentarsi sulle scuole che meglio preparano i loro allievi agli studi universitari.

Molte questioni, come ognuno può vedere, materia per la prosecuzione di un dibattito che non mancherà di essere decisamente vivace. Al quale spero di aver dato un contributo, per quanto minimo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *