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Mogambo, melodramma nel cuore di tenebra

“Mocambo”, parola magica nella poesia di Paolo Conte. Propriamente, è il nome di un bar (1) in cui si rifugiano individui stanchi della grigia routine di una cittadina di provincia, che coltivano il sogno di una fuga in terre esotiche e lontane: l’America del jazz, l’Indocina di Malraux, Cuba e, naturalmente, l’Africa dei safari alla Hemingway.

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“Mocambo”, sussurra l’avvocato-chansonnier di Asti, e il pensiero va subito ad un mitico film che ci fa capire subito da quale immaginario provenga la denominazione del suddetto locale. E poco importa che la pellicola del 1953 firmata da John Ford presenti una leggera variante grafica, la “g” al posto della “c”: le suggestioni sono sempre quelle che ben conosciamo dai tempi di Conrad e del suo Cuore di tenebra; virate però verso le tinte del melodramma, grazie ad un cast d’eccezione che prevede un gigante del cinema hollywoodiano, Clark Gable, affiancato da due icone di bellezza che più distanti tra loro non si saprebbe immaginare: Grace Kelly e Ava Gardner.

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La trama è presto detta: il bel tenebroso, ancora affascinante per quanto un po’ appesantito per via delle sue 52 primavere (essendo nato a Cadiz, nell’Ohio, il 1º febbraio 1901), è un cacciatore disposto, dietro compenso, a fare da guida ad un antropologo inglese che vuole addentrarsi nella savana con la giovane, un po’ bacchettona ma comunque bellissima moglie Linda. Il caso vuole che la base del buon vecchio Gable ospiti in quel momento anche una disinvolta showgirl americana capitata lì chissa come, in attesa di ritornare in patria. Due caratteri diversissimi, la bruna focosa e abituata ad avere a che fare con gli uomini; e l’algida bionda che è sempre pronta a scandalizzarsi per gli atteggiamenti disinibiti della beffarda Eloise. Inutile dire che tra le due donne scoppierà presto una contesa per il cuore del maturo avventuriero.

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Un melodramma d’ambientazione kitsch (con una componente di implicita superiorità dell’uomo bianco che è appena il caso di sottolineare) è quanto di meno prevedibile nella filmografia di John Ford, uno dei più grandi cineasti di tutti i tempi, l’uomo che con Stagecoach (Ombre rosse) realizzò nel 1939 l’unica opera in grado di contendere a Quarto potere (Citizen Kane) di Orson Welles la palma di miglior film della storia del cinema.

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Nato, per una strana combinazione, anch’egli il 1 febbraio, ma del 1894 (quindi di sette anni più anziano di Gable), Ford (che in realtà si chiamava John Martin Feeney) era figlio di un immigrato irlandese, ed è passato alla storia per i suoi numerosi film western, nei quali il ruolo di protagonista spettava regolarmente a John Wayne. Tra essi spicca l’eccellente Sentieri selvaggi del 1956; ma tra i molti capolavori, voglio citare anche due opere di diverso genere: Furore, girato nel 1940, grandiosa trasposizione cinematografica di uno dei più potenti romanzi del ‘900 americano, l’omonima opera di Steinbeck che racconta l’odissea di Tom Joad (2), uno dei tanti contadini di stati interni come l’Oklahoma, rovinati dalla crisi del ’29 e dalla grande siccità immediatamente successiva, che tentano di raggiungere la California; e Un uomo tranquillo, appassionato e ironico omaggio alla verde isola patria degli avi del regista (3).

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Quanto a Gable, è inutile dire che la sua fama è strettamente legata ad uno dei film più citati e conosciuti tra quanti hanno fatto la fortuna della settima arte, Via col vento; ma una citazione è d’obbligo anche per Accadde una notte (1934, regia di Frank Capra), in cui l’allora giovane Clark recita al fianco di una spigliata e deliziosa Claudette Colbert (4). Va detto, per concludere, che Mogambo, il film da cui siamo partiti, può essere considerato il remake di un lavoro del 1932 firmato da Victor Fleming, in cui, in un’ambientazione diversa ma comunque esotica, lo stesso Gable si trova conteso da due donne, Jean Harlow e Mary Astor.

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Il titolo italiano era Lo schiaffo, in originale Red dust, e alla base del film c’era la pièce teatrale di  Wilson Collison. Il film uscì nelle sale americane nell’ottobre del ’32, e fu preceduto da un’ondata di pettegolezzi e di polemiche, per via del suicidio di Paul Bern – noto uomo di cinema anch’egli,  – marito di Jean Harlow, all’epoca una delle dive più conturbanti ed ammirate dello star-system hollywodiano.

NOTE

(1) La saga musicale dell’Uomo del Mocambo di Paolo Conte inizia nel ’74 con il brano Sono qui con te sempre più solo, e prosegue con altre tre canzoni: La ricostruzione del Mocambo, Gli impermeabili e La nostalgia del Mocambo.

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(2) Nel 1995 Bruce Springsteen pubblica un album dal titolo The ghost of Tom Joad, chiaramente legato allo spirito del romanzo di Steinbeck: Affidandosi a sonorità folk e acustiche, il Boss racconta storie di immigrati messicani o episodi della II guerra mondiale, vista però dalla prospettiva della gente semplice, che è la stessa del libro nonché del film ad esso ispirato, il cui protagonista fu Henry Fonda.

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(3) Un uomo tranquillo parla di un ex-pugile (Wayne, naturalmente) tornato dall’America nella natia Irlanda. L’uomo, tormentato dal ricordo della morte di un suo avversario sul ring, si deve riadattare alle usanze e allo stile di vita dei suoi connazionali, e riesce anche a trovare una compagna di vita in Mary Kate, una giovane dal carattere forte e deciso interpretata da Maureen O’Hara. Prima però dovrà vincere l’opposizione del collerico fratello di lei, affrontandolo in un’epica scazzottata.

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(4) Accadde una notte è anche il film citato in Changeling di Clint Eastwood, ambientato proprio nei primi anni ’30; la protagonista, interpretata da Angelina Jolie, ritrova la voglia di vivere e di guardare al futuro con speranza parlando con l’investigatore che ha preso a cuore la sua straziante vicenda dell’imminente notte degli Oscar da cui attende il trionfo (che infatti si ebbe) proprio dell’opera di Capra. “La gente” – dicono i due – “ha bisogno di belle favole”.

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