Quasi un regalo di compleanno. Questo potrebbe essere il senso della notizia diffusa dalle agenzie di tutto il mondo nel tardo pomeriggio di oggi, martedì 18 febbraio 2014. A 116 anni esatti dalla nascita di Enzo Ferrari, detto il “Drake”, veniamo a sapere che, secondo l’annuale classifica dell’agenzia Brand Finance, il marchio della casa automobilistica modenese ha superato quello della Coca Cola, di Hermes, della Walt Disney, della Rolex, della Red Bull e addirittura di Google. Quindi, è il primo al mondo, superiore ad ogni altro.
Archivio mensile:febbraio 2014
Un eretico al cinema – Il Giordano Bruno di Montaldo e Volontè
“Forse avete più paura voi che emanate questa sentenza che io che la ricevo” . Una frase del genere, rivolta ai giudici da un uomo che sta per essere messo a morte per le sue idee e al quale verrà chiusa la bocca con un orribile strumento, per non farne più risuonare la voce nell’ultimo tragitto fino a Campo de’ Fiori, dove verrà arso vivo, merita un film, ed un interprete d’eccezione. E Giordano Bruno, la cui condanna venne eseguita il 17 febbraio 1600, ha avuto questo tributo dal mondo del cinema.
Zeno, il grande orso che amava l’Abetone
Giorni fa ho ricordato le Olimpiadi di Sapporo, Francisco Fernandez Ochoa e la “Valanga Azzurra”. Ma prima di Thoeni e Gros (senza trascurare il fenomenale Alberto Tomba), l’Italia ha avuto un altro gigante delle nevi. Non aveva un cognome germanico, si serviva di sci di legno, per lo più indossava un semplice maglione e il casco non lo portava quasi mai, sebbene fosse abituato a velocità vertiginose su piste infami: era figlio di un boscaiolo dell’Abetone, in Toscana, e si chiamava Zeno Colò.
Franco Fabrizi, l’italiano vanesio
Antonioni, Fellini, Visconti, Comencini, Risi, Ferreri, Zampa, Germi, Lizzani: sono solo alcuni dei grandi registi che, nell’arco di quarant’anni, hanno voluto nel cast di loro film Franco Fabrizi, uno dei più illustri e abili comprimari della storia del cinema italiano del dopoguerra. Era nato a Cortemaggiore, in provincia di Piacenza, il 15 febbraio 1950.
I cinquant’anni di Gianni, campione silenzioso
Quando inizia una grande corsa ciclistica a tappe, non di rado le prime giornate sono interlocutorie, e i grandi campioni, i favoriti per la vittoria finale, si astengono dalle iniziative decise; in genere può essere considerato valido, in simili circostanze, il noto detto anglosassone “When the going gets tough, the tough get going”, che equivale al nostro “Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”. Quindi, almeno nella prima settimana, la maglia che distingue il primo nella classifica generale passa rapidamente da corridore a corridore, mostrando una predilezione per figure di comprimari, che per qualche giorno vivono il loro effimero momento di gloria. Ultimamente, poi, sembra invalsa, per quanto riguarda i capitani, la tendenza a ritardare il più possibile la vestizione della fatidica maglia, gialla o rosa che sia, nella convinzione che ciò che conta sia portarla a Parigi o a Milano.
Sapporo 1972; uno spagnolo contro la valanga azzurra
Il 13 febbraio 1972, esattamente 42 anni fa, si chiudono le Olimpiadi Invernali di Sapporo, le undicesime dall’istituzione, risalente al 1924. Se andiamo a vedere il medagliere, troviamo molte conferme, cioè nazioni i cui atleti sono abituati alle condizioni climatiche adatte agli sports alpini e nordici: dunque l’Urss, le due Germanie (era naturalmente di là da venire il crollo del Muro di Berlino), la Svizzera, la Norvegia, l’Austria, anche la nostra Italia (penisola mediterranea sì, ma coronata dalle Alpi); ma il nostro sguardo può fermarsi un po’ incerto sulla riga occupata dalla Spagna, terra che siamo soliti associare ad altre competizioni, da disputare per lo più sotto un sole rovente (quelle ciclistiche, ad esempio), o in tarda serata, in affollati catini come quello del Bernabeu e del Nou Camp.
Ray Manzarek, l’altra anima dei Doors
Indubbiamente, dire “Doors”, significa chiamare in causa Jim Morrison, uno dei più grandi miti della controcultura giovanile di fine anni ’60. Bello, ricco di talento, iconico come pochi e votato ad una morte prematura, l’angelo maledetto del rock costituì l’immagine e l’anima poetica dell’ensemble.
Mankiewicz, il regista che amava (e odiava) le donne
Non si può certo dire che non ci sapesse fare nel dirigere le grandi attrici e nel tratteggiare figure femminili indimenticabili e, come si suol dire, “bigger than life”, Joseph L. Mankiewicz, il regista americano nato in Pennsylvania l’11 febbraio 1909. Dopo un iniziale interesse per l’attività giornalistica, che lo vide anche inviato a Berlino per il Chicago Tribune, si accosta al mondo del cinema, nel corso degli anni ’30 e ’40, nelle vesti di sceneggiatore e produttore per la Paramount e per la Metro-Goldwyn-Mayer.
Un altro giorno di dolore, un altro giorno per essere migliori
Un altro giorno triste, un’altra data importante da ricordare per onorare una sofferenza ingiusta, come lo è qualunque dolore apportato dalla guerra e dal rancore degli uomini ad altri uomini, guardati con gli occhi dell’odio, come nemici da annientare e non come simili, come amici, come fratelli. Il 10 febbraio ricorre la solennità civile in memoria delle le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. I tempi sono ormai maturi, ritengo, per discutere serenamente di questi fatti e per parlarne, anche nelle scuole, senza che questo debba dar luogo a sterili ed inutili polemiche.
Per la storia dell’arte, perché gli italiani non disimparino la loro seconda lingua
Come ho già fatto di recente, cercherò di avvalermi nuovamente di Radio 3 e della trasmissione Fahrenheit per dare il mio modesto contributo alla trattazione di un tema di attualità che si sta dibattendo non poco, anche sui social networks, in questi giorni. È vero che diminuiranno le ore di insegnamento di storia dell’arte nelle scuole italiane, o addirittura che tale materia sarà del tutto abolita?