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Storia di Susanna, salvata da Daniele e ritratta da Guercino

“Un Daniele!” esclama il vecchio Shylock esultante e quasi incredulo quando, nell’ultimo atto del Mercante di Venezia il giovane giureconsulto, venuto da Padova per emettere un parere riguardo la libbra di carne che l’odiato Antonio gli deve, gli dà ragione. Lo ripete anche, il nome di questo profeta biblico divenuto sinonimo di saggezza, ma soprattutto di giustizia; salvo poi doversi amaramente ricredere quando il giovane stesso – che poi altri non è che Porzia travestita in abiti maschili – specificherà che l’ebreo può sì prelevare la carne di Antonio, secondo l’accordo, ma neppure una goccia di sangue dovrà essere versata, perché il contratto non lo prevede. E allora sarà Graziano ad applaudire il nuovo “Daniele”, che con la sua sapienza legale ha impedito l’orrore di una spietata vendetta.

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Al nome di Daniele è legato un libro biblico in cui è esaltata la figura di questo giovane profeta (inserito tra i quattro maggiori, dopo Isaia, Geremia ed Ezechiele) vissuto ai tempi della deportazione degli ebrei a Babilonia, nel VI secolo avanti Cristo. La prima manifestazione dell’ispirazione divina del personaggio è narrata nel capitolo 13 del libro biblico in questione (capitolo che è considerato canonico dalla Chiesa cattolica e ortodossa, mentre per le chiese protestanti e per la tradizione ebraica rappresenta un’aggiunta apocrifa). È la storia della casta Susanna tormentata dai due cosiddetti “vecchioni”, che è poi il soggetto del dipinto del Guercino che ho scelto di presentare oggi, in occasione dell’anniversario della nascita del pittore emiliano.
In breve, siamo a Babilonia e Susanna è la bella e giovane moglie di un certo Gioacchino. Due anziani, che hanno fama di saggi giudici, la sorprendono nel giardino della sua casa, dove la ragazza sta facendo il bagno, credendosi al riparo da sguardi indiscreti. I due vecchi satiri non perdono tempo e sottopongono la donna ad un odioso ricatto: o cede alle loro voglie, o essi la accuseranno di adulterio e la faranno lapidare. Lei preferisce la morte, per quanto infamante, al peccato; i ricattatori danno seguito alla loro minaccia, e la condanna sta per essere eseguita quando sulla scena irrompe un ragazzo (Daniele, naturalmente) che accusa i due mentitori e riesce a dimostrare la falsità dell’accusa interrogando separatamente gli accusatori i quali, non avendo concordato una versione univoca del racconto, cadono in contraddizione. Così ad essere giustiziati sono i libidinosi vecchi, e Susanna torna con onore dal marito.
Tema iconografico già caro ai primi cristiani (come testimoniano i reperti catacombali), questo racconto ha trovato fortuna nella storia dell’arte del ‘600, che è appunto il secolo del Guercino, ovvero Giovanni Francesco Barbieri, nato a Cento, in provincia di Ferrara, il 2 febbraio 1591. Caratterizzato da un’inclinazione per un naturalismo spontaneo e popolare, l’artista raffinò la propria tecnica apprendendo la lezione cromatica di Tiziano in seguito ad un viaggio a Venezia, ed allargò i suoi orizzonti culturali e pittorici grazie ad un fondamentale incontro bolognese con Ludovico Carracci.
Un primo dipinto del Guercino raffigurante l’episodio biblico da cui sono partito, è oggi esposto al Museo del Prado di Madrid, e risale al 1617, anno in cui fu realizzato per il cardinale Alessandro Ludovisi (il futuro papa Gregorio XV), arcivescovo di Bologna. Si tratta di un’opera importante, un capolavoro, a detta dello storico dell’arte Matteo Marangoni, che ha sottolineato come in esso il pittore di Cento dimostri ormai, soprattutto nel bellissimo tratteggio della figura femminile, una certa indipendenza dai maestri, il già citato Carracci e lo Scarsellino.

Madrid-Museo del Prado_Susanna e i vecchioni
Molti anni più tardi – dopo numerosi lavori importanti, quali ad esempio la decorazione di una sala del Casino Ludovisi al Pincio o la realizzazione del Seppellimento di Santa Petronilla, visibile alla Pinacoteca Capitolina, sempre a Roma – ritroviamo un’altra Susanna e i vecchioni di mano del Guercino, ed è questo il dipinto che mi ha colpito particolarmente. (1)

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Si tratta di un quadro da stanza (oggi alla Galleria Nazionale di Parma), commissionato al maestro poco prima del 1650 dal conte Parisetti di Reggio Emilia. In esso ritroviamo i caratteri di uno stile maturo: un grande equilibrio formale, accompagnato dalla sapienza nello studio delle luci e nell’uso di colori morbidi e vellutati. L’intonazione dolcemente modulata e l’intensità del racconto rivelano l’influsso di quel Guido Reni, cui il Guercino subentrò come caposcuola a Bologna, a partire dagli anni ’40 del’600. Mentre Susanna alza dolcemente lo sguardo al cielo, invocando un aiuto che certo verrà, i due vecchi – del tutto esenti da quella laidezza un po’ grottesca che non è rara in altre versioni di tale soggetto – sembrano rapiti nella contemplazione della bellezza, quasi come se non sapessero spiegarsi un simile miracolo;

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e potrebbero apparire, visti in quest’ottica, quasi come simboli dell’umano smarrimento che caratterizza quel secolo barocco che si apre con le dolenti figure di Amleto e Don Chisciotte e appare proiettato verso una modernità tumultuosa e inquieta.

NOTE

(1) Il dipinto parmense è naturalmente quello che fa da copertina al presente articolo. La prima delle due illustrazioni cui questa nota si riferisce è relativa proprio all’Aurora che decora la volta della sala del Casino Ludovisi al Pincio. La seconda riguarda invece la Santa Petronilla della Pinacoteca Capitolina. Per quanto riguarda il Casino Ludovisi, va detto che faceva parte della Villa voluta dal cardinale Ludovico, nipote del papa. Si trattava di un ampio complesso, che comprendeva un parco ricco di statue di età classica. Ne parlarono in termini entusiastici scrittori come Goethe e Stendhal, ma nel 1883 gli eredi, i principi Boncompagni-Ludovisi, vendettero tutto, allettati dalla possibilità di ottenere lauti guadagni in un momento in cui le speculazioni edilizie imperversavano nell’Urbe. Vane furono le proteste di amanti dell’arte e della Roma barocca, D’Annunzio in primis. Si salvò solo il Casino affrescato dal Guercino; dei reperti archeologici citati, molti sono stati collocati nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps. Tra essi il celebre Torso di Satiro. Il Trono Ludovisi, anch’esso visibile oggi nel medesimo Palazzo, fu invece ritrovato nel 1887, durante i lavori di lottizzazione seguenti alla vendita cui si è fatto cenno, in un’area che si ritiene corrispondente agli odierni Horti Sallustiani. Non è mancato però (e tra costoro fu Federico Zeri) chi ha sostenuto che si tratti di un falso ottocentesco.

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