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Un eretico al cinema – Il Giordano Bruno di Montaldo e Volontè

“Forse avete più paura voi che emanate questa sentenza che io che la ricevo” . Una frase del genere, rivolta ai giudici da un uomo che sta per essere messo a morte per le sue idee e al quale verrà chiusa la bocca con un orribile strumento, per non farne più risuonare la voce nell’ultimo tragitto fino a Campo de’ Fiori, dove verrà arso vivo, merita un film, ed un interprete d’eccezione. E Giordano Bruno, la cui condanna venne eseguita il 17 febbraio 1600, ha avuto questo tributo dal mondo del cinema.

Era il 1973, e Giuliano Montaldo, regista genovese allora poco più che quarantenne, era reduce da un intenso film su Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, i due anarchici italiani processati e condannati a morte nel 1920 in terra americana, per un’accusa – palesemente falsa – di rapina a mano armata ed omicidio. Per la coppia di protagonisti, l’autore aveva scelto Riccardo Cucciolla, ottimo interprete noto anche per l’inconfondibile voce che ne fece un grande doppiatore; e Gian Maria Volontè, l’attore più stupefacente del cinema italiano dell’epoca. Mimetico, istrionico, carismatico: basta vedere “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri (1970) per rendersi conto delle sue doti assolutamente fuori dal comune. Ed è all’immenso Gian Maria che Montaldo si rivolge anche per il difficile ruolo del filosofo nolano che, denunciato dal nobile veneziano Giovanni Mocenigo e consegnato per la “ragion di Stato” da Venezia all’Inquisizione romana, fu detenuto nell’Urbe per sette anni prima di essere affidato al carnefice.

L’idea per il film venne al regista quasi per caso, quando ebbe modo di notare, ai piedi del monumento a Bruno, un gruppo di studenti e di professori francesi, tutti vivamente interessati a conoscere la vicenda di un uomo poco ricordato e considerato in Italia. Che si trattasse di una figura scomoda, Montaldo ebbe modo di comprenderlo pienamente quando riuscì solo molto faticosamente a trovare un produttore (Carlo Ponti) disposto a finanziare il progetto; ed ancor più allorché si rese conto che era praticamente impossibile ottenere le autorizzazioni per girare negli edifici sacri della Capitale.

Il film si apre e si chiude con una processione (la seconda è naturalmente quella verso il luogo dell’esecuzione), e Montaldo ha voluto spiegare come questo fatto simboleggi il “ripetersi
rituale di ogni potere spietato, convinto ancora una volta della propria
forza nei confronti dell’eresia…un potere che uccide, che segue un suo
sottile disegno.”. Anche la luce abbagliante sotto la quale si celebra il processo sottolinea questa forza della Chiesa, che pure rispetta e teme il monaco campano, come dimostrano le esitazioni di papa Urbano VIII e la determinazione dell’inquisitore Roberto Bellarmino, il quale aveva ben compreso quale nemico la Chiesa avesse di fronte.

Altri momenti suggestivi sono quelli in cui il protagonista recita in cella, anche alla presenza dei compagni di detenzione, brani delle sue opere, quasi a ribadire il suo incessante desiderio di pensare e di comunicare, nella convinzione che le sue idee riusciranno a valicare le mura della prigione e ad arrivare all’intelletto ed al cuore dei posteri. Tema, questo, che troviamo confermato in un altro frammento, importante e volutamente antirealistico, in cui Bruno si trova davanti ad una libreria che contiene opere di scrittori che verranno decenni e decenni dopo: la forza del pensiero non si ferma, ed uccidere un uomo serve a poco, non certo ad ottenere risultati culturali e speculativi, come aveva già intuito nel ‘500 il teologo francese Sébastien Chataillon.

Ma il punto di forza della pellicola resta lo splendido Volontè, come sottolineano senza mezzi termini Mereghetti e Morandini nelle loro imprescindibili schede. Un amico per Montaldo, ed un interprete ideale per la sua capacità di immedesimazione nel personaggio, con cui condivide anche la forza e la concretezza del carattere. Un altro tassello prezioso nel mosaico realizzato da questo eccellente attore, che rimane come una delle gemme più preziose nel vasto tesoro della storia del cinema italiano.

 

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