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L’avventuroso cinema di Tomas Milian

L’Avana: è l’alba del primo giorno dell’anno 1946. In una grande sala, senza altri testimoni, un generale fedele al regime di Gerardo Machado e caduto in disgrazia dopo la presa del potere da parte di Fulgencio Batista (quello che poi sarà spodestato dalla rivoluzione di Fidel) punta la pistola contro il figlio dodicenne:

questi, immobilizzato dal terrore, pensa di essere vicino alla morte, ma l’uomo cambia obiettivo rapidamente, e fa fuoco contro la propria tempia. Il ragazzino è naturalmente sconvolto, ma si accorge presto che non prova dolore, giungendo anzi, mentre si dirige verso gli altri parenti che vivono nella sontuosa magione coloniale per dare l’allarme, ad una conclusione che lo colpisce: è un senso di liberazione quello che si fa strada dentro di lui: non ci sarà più nella sua vita quella figura cupa, dispotica e violenta che aveva rappresentato fino a quel giorno per lui più un tormento che un’affetto.

Potrebbe essere la scena di un film o, meglio ancora ancora, la pagina di un romanzo, ma non si tratta né dell’una né dell’altra. È un ricordo d’infanzia di Tomás Quintín Rodríguez Varona y Milian, molto più noto da noi semplicemente come Tomas Milian, di cui oggi ricorre l’ottantunesimo compleanno. Tutti lo conoscono per i tanti film da lui interpretati, soprattutto pellicole di genere degli anni ’70, firmate da registi come Stelvio Massi, Umberto Lenzi e, soprattutto, Bruno Corbucci: di culto sono da anni, ormai, anche presso un pubblico molto giovane, i personaggi dell’ispettore Nico Giraldi e, sull’altro versante della sfida tra il bene e il male, “er Monnezza”. Io però vorrei celebrare questo singolare ed efficacissimo istrione attraverso una manciata di film non appartenenti a questi cicli.

Al cinema ci era arrivato per passione e attraverso una gavetta costellata di episodi fantasmagorici. Ad aiutarlo è una ricca zia, che comprende il desiderio di quel ragazzo inquieto e lo manda a Miami a studiare recitazione. Qui fondamentale è l’incontro con un’insegnante che gli fa avere un posto nel mitico Actor’s Studio di Lee Strasberg: oggi ne è membro onorario a vita, ma all’epoca (era la metà degli anni ’50) era una via di mezzo tra il più umile uditore ed un galoppino tuttofare, pronto però a rubare ogni segreto del mestiere ed a sfruttare gli incontri con i personaggi più incredibili, da Marilyn Monroe a Giancarlo Menotti. Grazie a quest’ultimo, e ad una scrittura per una pièce teatrale di Cocteau da rappresentare al Festival di Spoleto, arriva nel nostro paese, dove poi tanto lavorerà, fin da subito con registi di prestigio, quali Bolognini (che lo fa esordire nel ’59 nella “Notte brava”, storia di stampo pasoliniano), Visconti, Brusati.

E nel 1964 arriva una parte da protagonista con Citto Maselli, che lo vuole nella sua versione cinematografica degli “Indifferenti” di Moravia. L’attore cubano è Michele, il giovane inetto che vorrebbe indignarsi di fronte alla decadenza della famiglia, magari vendicare i soprusi che la madre e la sorella subiscono da parte del bieco affarista Leo Merumeci; ma quando decide di sparare all’avversario, dimentica (tipico atto mancato freudiano) di caricare la pistola, e fallisce miseramente. Fa impressione vedere il futuro Nico Giraldi, allora poco più che trentenne, nei panni di un ragazzo alto borghese dell’era fascista, sbarbato e con i capelli perfettamente in ordine, ma soprattutto freddo e inequivocabilmente “indifferente”, come recita il titolo (e chissà che Tomas non si sia ricordato del suo distacco di fronte alla scena del suicidio del padre, ricordato in apertura).

Quattro anni dopo è la volta di “Tepepa”, uno spaghetti-western rielaborato secondo lo spirito sessantottino (dunque in piena sintonia con i tempi; tra gli sceneggiatori c’è il celebre cantautore impegnato Ivan Della Mea), opera del regista Giulio Petroni. Qui due sono gli elementi di spicco: il fatto che Milian – che interpreta un contadino messicano trasformatosi in fuorilegge all’epoca della rivoluzione di Madera – non sia doppiato; e il duetto con il solito, gigantesco Orson Welles, che dà vita ad un colonnello dell’esercito che dà la caccia al bandito. Il film è molto ben giudicato da Mereghetti, che trova l’autore “capace di infondere uno spirito epico e al tempo stesso malinconico”.

Con un deciso salto in avanti nel tempo, andiamo poi all’inizio del terzo millennio per ricordare “Traffic”, un importante lavoro del regista americano Steven Soderbergh, complesso nella struttura narrativa e encomiabile per la volontà di denunciare i mali legati al commercio degli stupefacenti tra America Latina e Stati Uniti. È opportuno citare nuovamente il “Dizionario dei film” del prestigioso critico milanese che, a proposito di Tomas, scrive:”sensazionale performance di un irriconoscibile Milian, calvo e luciferino nel ruolo del generale Salazar”. Questi è un alto ufficiale dell’esercito messicano impegnato nella lotta al cartello di Tijuana, non però per senso del dovere o per nobili ideali, ma per favorire il cartello di Juárez, da cui è foraggiato.

Una carriera intensa, dunque, che peraltro non si è interrotta neppure con questa grande produzione internazionale, ma è continuata negli anni successivi, fino ad arrivare al 2013 con “Roma nuda” di Giuseppe Ferrara. Film, questo, che segna il ritorno di Milian nella città eterna, cui tanto è stato legato per via di tanti episodi delle sue saghe comico-poliziottesche e dell’indimenticabile doppiaggio di Ferruccio Amendola. Spicca la spregiudicatezza di Tomas, che non si è mai negato un ruolo, spaziando tra i generi più diversi: per sua stessa ammissione fare cinema è stato, ed è ancora, un vendersi: “non si può avere dignità in questo mestiere e la superbia è vivamente sconsigliata”.

 

 

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