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Danny Ainge, il duro dei Celtics

Si sa quello che si dice sui ragazzi dai capelli rossi e, pur senza arrivare alle atmosfere tristi ed alle situazioni marginali descritte da Verga in “Rosso Malpelo”, esistono nella biografia di Danny Ainge, star della NBA e attuale general manager dei mitici Boston Celtics, gustosi aneddoti su quanto quel ragazzino destinato a diventare famoso avesse, a dir poco, il classico argento vivo addosso.

Una volta durante un lungo viaggio in autobus, finse di essere figlio di altri passeggeri, facendo passare per potenziali rapitori da guardare con molto sospetto i veri papà e mamma che cercavano di rientrare in possesso del legittimo rampollo. Il futuro campione nasce nel 1959, il 17 marzo, dunque il giorno di San Patrizio, data perfetta per uno che doveva legare il suo nome al team dalla maglia verde con il simbolo del trifoglio irlandese. Nella nativa Eugene, nell’Oregon, i due fratelli Doug e David si abituano presto a portarsi dietro sui playgrounds quel ragazzino lentigginoso che sa guadagnarsi facilmente il rispetto dei grandi. L’elemento più sorprendente che caratterizza la carriera sportiva di Danny è la sua poliedricità, vale a dire la sua capacità di eccellere in tre discipline diverse: fotball, basket e baseball. Al liceo le pratica tutte e tre con grandi risultati; passato alla Brigham Young University, nello Utah, lascia da parte il football, alternandosi tra il baseball (praticato d’estate, dal 1977 con i Toronto Blue Jays) e la pallacanestro, per la quale alla fine opta.
È rimasta famosa – nel campionato NCAA del 1981 – una sua discesa coast to coast contro Notre Dame, che schierava nomi del calibro di John Paxson, Kelly Tripucka ed Orlando Woolridge. Ad otto secondi dalla fine e con la sua squadra sotto di un punto, Ainge si lanciò in quella che venne poi chiamata “the Stormin’ Mormon Dash”, “la corsa del Mormone d’Assalto” (in riferimento alla fede del giocatore e della stessa Brigham Young University), e lasciò scivolare la palla nella retina, regalando la vittoria ai suoi. Seguì la sconfitta contro la Virginia University di Ralph Sampson (quello che avrebbe fatto coppia a Houston con Hakeem Olajuwon), ma ormai era chiaro che l’atleta dell’Oregon era fatto per il basket ancor più che per il baseball. Il resto è storia, per questa guardia di 196 cm.: il passaggio ai Celtics, la vittoria di due titoli (1984 e 1986, con un contributo fondamentale soprattutto per il secondo, quando già faceva parte del quintetto base), la durezza e la combattività che lo portarono più tardi, dopo il passaggio ai Phoenix Suns, a venire alle mani con sua maestà Michael Jordan.
Nella carriera di questo formidabile campione, ci sono altre due finali NBA, con i Trail Blazers di Portland e, appunto, i Suns, perse entrambe contro i Bulls; ed una straordinaria capacita realizzativa dalla grande distanza (1002 canestri da tre punti in carriera). Come manager, il riconoscimento di NBA Executive of the Year nel 2008, anno in cui riportò i Celtics al trionfo che mancava proprio da quel lontano 1986, quando c’era Ainge a facilitare il rapporto, sia umano che agonistico, tra giganti come Larry Bird e Kevin McHale. Niente male, per uno che aveva cominciato come il fratellino pestifero che metteva in crisi i grandi sui campetti di Eugene!
(Nella foto, Danny a confronto con Doc Rivers degli Atlanta Hawks)

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