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Nati (l’11 marzo) per correre

Curiosamente, l’11 marzo si presenta come una data particolarmente propizia per gli sport motoristici, visto che oggi possiamo ricordare ben quattro personaggi che si sono distinti, in alcuni casi anche con risultati di assoluta eccellenza, nei settori di loro competenza.

Il primo è forse il più pittoresco di questi piloti. Si tratta di Arturo Merzario, detto il “cowboy della Formula 1” per via del pittoresco cappello in stile texano che era solito indossare nei momenti di relax. Caratterizzato da una notevole passione che lo ha portato a gareggiare in tante diverse categorie, ha ottenuto due vittorie nel G. P. del Mugello con una Abarth 2000 (nel 1969 e nel 1967), nonché una Targa Florio in coppia con Sandro Munari nel 1972. Non gli furono estranee neppure le emozioni della più prestigiosa categoria, nella quale ebbe l’onore di salire persino sulla Ferrari, oltre che su Wlliams e March.

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Ma la sua pagina più bella, il “fantino” (così detto per la bassa statura) – nato nel 1943 a Civenna, in provincia di Como – l’ha scritta il 1º agosto 1976 al Nurburgring, quando il suo coraggioso intervento fu decisivo per estrarre il grande Niki Lauda dalla sua vettura in fiamme. Accanto a lui c’erano anche Guy Edwards, Brett Lunger e Harald Ertl, e uno tra questi azionò l’estintore che permise ad Arturo, al terzo tentativo, di salvare il campione austriaco. Pochi mesi fa è uscito anche in Italia il film “Rush”, firmato da Ron Howard, che rievoca quella stagione in cui lo stesso Niki e James Hunt si contesero fino all’ultimo il titolo iridato, e in quest’occasione si è tornato a discutere di quel drammatico momento, non senza polemiche da parte degli amici e dei fans di Merzario, che hanno lamentato lo scarso rilievo concesso alla figura del pilota italiano. Lui però, col suo solito modo di fare bonario e scherzoso, non ne ha fatto un dramma – pur ribadendo come andarono effettivamente le cose – e continua a pensare più che altro alla possibilità di coltivare ancora, in un modo o nell’altro, il suo amore per le corse.

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Italiano è anche il secondo sportivo da ricordare, il riminese Pier Paolo Bianchi (nato nel 1952), un corridore motociclista di tutto rispetto, visto che stiamo parlando di un tre volte campione del mondo. I primi due titoli furono da lui ottenuti nella classe 125, negli anni 1976 e 1977, sempre in sella ad una Morbidelli. Ancora un trionfo arrivò nel 1980, questa volta con una MBA, sempre della stessa cilindrata. Sfiorò un quarto titolo nell’85, ma nel G. P. conclusivo, quello di San Marino, dovette cedere la vittoria della gara e l’alloro iridato all’imolese Fausto Gresini. La sua è stata in ogni caso una grande carriera, coronata nel 2003 dal conferimento del titolo di Commendatore della Repubblica ricevuto dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi.

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Gli ultimi due piloti che festeggiano il compleanno l’11 marzo sono entrambi anglosassoni. Di un solo anno più anziano di Bianchi è l’irlandese Derek Daly, che ha corso in Formula 1 tra il 1978 e il 1982 per scuderie quali Hesketh, Ensign, Tyrrel e Williams. Con questa casa, alla quale arrivò nel 1982 a stagione iniziata, in sostituzione di Carlos Reutemann, visse il suo momento migliore. Infatti si trovò ad essere compagno di un campione come il finlandese Keke Rosberg, che proprio in quell’anno si aggiudicò il titolo iridato. Daly andò a punti cinque volte, piazzandosi tredicesimo nella classifica finale.

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Il più titolato tra questi personaggi è l’ultimo, Eddie Lawson, un centauro californiano nato nel 1958, che vanta ben quattro vittorie nel Motomondiale, sempre in sella a delle prestigiose moto di cilindrata 500.

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Gli portavano bene gli anni pari, perché colse tre successi nel 1984, nel 1986 e nel 1988, sempre su Yamaha. Ma col passaggio alla Honda dimostrò di saper vincere anche nelle annate dispari, guadagnandosi l’iride nel 1989. Si cimentò con campioni del calibro di Freddie Spencer, Randy Mamola e Wayne Gardner, e nella sua carriera non è mancata un’esperienza italiana, perché corse – nelle sue due ultime stagioni – col la Cagiva di Varese, cui regalò la vittoria nel G. P. di Ungheria, che fu anche la sua ultima soddisfazione in carriera.

 

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