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CATENE SPEZZATE NEL DICIASSETTESIMO ARRONDISSEMENT

La Place du Général-Catroux si trova a Parigi, nel 17^ arrondissement, ed è intitolata ad un alto ufficiale francese che fu collaboratore militare e politico di Charles De Gaulle. Ma tra le due guerre mondiali la piazza portava un altro nome, Place Malesherbes, e ospitava la statua di un altro generale, un monumento in bronzo che, all’inizio degli anni Quaranta, i tedeschi fecero fondere per recuperare il costoso metallo.

Ma non si trattò solo di una decisione utilitaristica; c’era qualcosa, in quel soldato effigiato, che disturbava profondamente Hitler e la sua folle concezione razzistica dell’umanità: quel generale non era di pura razza bianca, anzi, era nero per metà. Sua madre era una schiava haitiana morta nel 1774;il padre, il marchese Alexandre-Antoine Davy de la Pailleterie, anch’egli generale d’artiglieria che prestava servizio nell’allora colonia francese, e si era presa per amante la giovane Marie, che tutti chiamavano ” la femme du mas”, la donna della masseria. Du mas; provate a fondere in un’unica parola questi due monosillabi. Cosa ne viene fuori: Dumas! Vi dice qualcosa, vero? Questo fu il cognome che il primo figlio della coppia mista (nato il 25 marzo del 1762) volle assumere quando giunse in Francia, finalmente riscattato dal padre, che lo aveva in un primo momento abbandonato, accettando che il bambino finisse schiavo, insieme ad altri due fratelli. Quel ragazzo, forte e di bell’aspetto, il cui nome ufficiale era Thomas-Alexandre Davy de la Pailleterie, fu destinato alla vita militare, ma la sua carriera ricevette un impulso inaspettato dallo scoppio della rivoluzione francese. Nel 1792, quando aveva raggiunto il grado di colonnello, si sposò con una ragazza francese, Marie-Louise Elisabeth Labouret, da cui dieci anni dopo ebbe un figlio. Nel frattempo a quell’uomo era successo di tutto: era divenuto uno dei generali di Napoleone, si era distinto in Vandea, in Italia ed in Egitto, ma fu proprio in terra d’Africa che iniziarono i suoi guai. Ebbe degli screzi con il futuro imperatore, cui rimproverò alcuni aspetti della sua condotta militare e politica. In seguito al disastroso esito di quella campagna, il generale Alexandre Dumas cercò di tornare in Francia con mezzi di fortuna, ma la sua nave fu sbattuta da una tempesta a Taranto, dove fu catturato dai sanfedisti e consegnato al Re di Napoli Ferdinando IV, che gli riservò due anni di prigionia assai dura, in compagnia del geologo francese Deodate de Dolomieu (quello da cui presero nome le Dolomiti), anch’egli caduto in mani borboniche. Nessuno si preoccupò di pagare un riscatto per i due prigionieri, che furono liberati dopo 21 mesi, in seguito alla vittoria napoleonica di Marengo. I due compagni di galera erano terribilmente provati: lo studioso morì poco dopo, a soli 51 anni; l’ex generale Dumas resistette fino al 1806 ma, come si è detto, aveva fatto in tempo a diventare padre di un piccolo maschio, nero per un quarto: sarebbe diventato un famoso scrittore, che conobbe un grande successo di pubblico, ma anche l’ostilità di chi non sopportava che quell’uomo ammirato e invidiatoo non fosse del tutto bianco (si accenna a questo fatto anche nel film di Quentin Tarantino “Django unchained”). Della dolorosa (ed avventurosa ) storia del padre del romanziere francese si è occupato di recente uno studioso americano, Tom Reiss, in un volume pubblicato in Italia da Newton Compton con il titolo “Il diario segreto del Conte di Montecristo”, in cui si sostiene che il famoso romanzo sarebbe stato ispirato a Dumas dalla vicenda del padre: la detenzione in una fortezza (quella di Messina, nella fattispecie) c’è, come pure la figura di un dotto compagno di cella (Dolomieu nella realtà, l’indimenticabile abate Faria nel romanzo); il resto – la rocambolesca fuga ed l’elaborata vendetta – sarebbe stato il frutto dell’animo offeso del figlio. Noi concluderemo tornando nel luogo da cui siamo partiti, la vecchia Place Malesherbes, dove dal 2008 è visibile un altro monumento dedicato al generale Dumas: si tratta di una scultura in ferro dell’artista Driss Sans-Arcidet, che raffigura due bracciali di una catena da schiavo: uno intero, l’altro spezzato, a simboleggiare la fine (almeno in alcuni territori) di una pratica odiosa che, giova ricordarlo, non è affatto stata cancellata dal pianeta Terra e resta uno dei più gravi crimini che un essere umano possa compiere a danno di un suo simile.

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