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IL 25 APRILE DI ALFONSO GATTO

Il modo in cui quest’anno “Punto cultura” intende celebrare la festa della Liberazione è legato alle figure del poeta Alfonso Gatto e a quella del partigiano Eugenio Curiel, citato dal primo in un componimento intitolato semplicemente “25 aprile”.

In esso, come in diversi altri, l’autore salernitano abbandona gli stilemi ermetici che ne avevano segnato la produzione risalente agli anni Trenta, fin dall’esordio della raccolta “Isola”, pubblicata a Napoli nel 1932. Era quello il tempo in cui il regime appariva trionfante non ammetteva decise forme di opposizione, ma tutt’al più quella sorta di fronda interna che si insinuò talvolta nelle manifestazioni legate ai Littoriali della Cultura e ad alcune riviste letterarie, tra le quali spicca “Il Bargello”, pubblicato a Firenze con la direzione di Alessandro Pavolini. Nell’atmosfera conformista e favorevole ad entusiasmi vasti quanto superficiali, poeti che – come già il Montale degli “Ossi di seppia”, rendessero esplicito un senso negativo dell’esistenza (“ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”) così lontano dalla baldanza della gioventù che il fascismo dichiarava di voler forgiare – potevano apparire già quali testimoni di una muta e dolente protesta, che magari fu poi passibile in seguito di facili accuse di viltà, ma che all’epoca ebbe un suo senso storico ed esistenziale. Riportiamo qui una delle più note liriche scritte da Alfonso Gatto in quel periodo, “Sogno del Golfo”:

 

In un lucore pallido la pura

mattina rabbrividisce, solitaria:

il tenue segno delle rive dura

in una fioca cautela d’aria.

 

La limpida marina non resiste

in un tormento d’essere piú lieve,

si strugge nell’affioro d’intraviste

serenità remote in calma neve.

 

Panorama marmoreo il golfo chiude,

nel desiderio dell’inerzia, il dono

calmo sognato dall’immenso: nude,

sorgenti dal profondo al suono

 

armonioso dell’aria, argentee vette.

 

Lontano, appare, esilarata plaga

venata azzurra di tranquillo gelo,

quasi soffiata all’aria che la svaga,

la soglia leggerissima del cielo.

 

In una lenta eternità di vita,

la terra soffre nel confine ansioso

di giungere col vento alla romita

immagine del mondo silenzioso.

 

Un paesaggio familiare al poeta viene ricostruito nella memoria e depurato da qualsiasi elemento cronachistico o meramente descrittivo, per fondersi con uno stato d’animo di sospensione in un’atmosfera magica e surreale resa con una maestria stilistica già particolarmente accentuata. Peraltro, l’antifascismo dichiarato della produzione di Gatto nel dopoguerra non fu certo una scelta di comodo, visti i sei mesi di detenzione nel carcere milanese di San Vittore che i sospetti di attività sovversiva gli erano costati, nel 1936. Ed ecco invece il testo della poesia che abbiamo citato in apertura:

 

25 Aprile

 

La chiusa angoscia delle notti, il pianto

delle mamme annerite sulla neve

accanto ai figli uccisi, l’ululato

nel vento, nelle tenebre, dei lupi

assediati con la propria strage,

la speranza che dentro ci svegliava

oltre l’orrore le parole udite

dalla bocca fermissima dei morti

“liberate l’Italia, Curiel vuole

essere avvolto nella sua bandiera”:

tutto quel giorno ruppe nella vita

con la piena del sangue, nell’azzurro

il rosso palpitò come una gola.

E fummo vivi, insorti con il taglio

ridente della bocca, pieni gli occhi

piena la mano nel suo pugno: il cuore

d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.

 

Parole chiare, immagini vive e forti che sanno rievocare le sofferenze e gli orrori di mesi e mesi di guerra civile, ma anche la speranza e l’orgoglio di chi ha infine deciso di rischiare in prima persona in nome di una libertà ormai non più procrastinabile. Spicca in questi versi un nome, quello di un partigiano caduto, probabilmente oggi sconosciuto ai più, chiamato semplicemente con il cognome, Curiel. Si tratta di un’importante figura di studioso triestino, Eugenio Curiel, appunto. Di famiglia israelita, laureatosi in fisica nel 1933 presso l’Università di Padova, Curiel manifestò interessi per varie discipline, quali l’antroposofia e la filosofia, finendo poi con l’aderire nel 1935, al Partito Comunista clandestino. Arrestato a metà del 1939, quando aveva già perso la possibilità di insegnare a causa delle leggi razziali, fu mandato al confino a Ventotene. Dall’isola tirrenica Curiel si allontanò dopo il 25 luglio del 1943 e, trasferitosi a Milano, fondò il Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà, a più nota ed estesa organizzazione giovanile partigiana durante la lotta di Liberazione in Italia. Riconosciuto e fermato dalle Brigate Nere nelle vie del capoluogo lombardo il 24 febbraio del 1945, fu ucciso a colpi di mitra mentre cercava di sfuggire ad un nuovo arresto. Così lo ricordò Quinto Bonazzola sulle pagine dell’Unità, esattamente 6 anni dopo la sua uccisione: “Curiel svolse una funzione decisiva verso di noi: ci insegnò la fiducia. Fiducia nel popolo italiano. Ci insegnò ad essere insomma i giovani della nuova Italia: uomini e non automi. Nei confronti dei soldati di Graziani, che noi disprezzavamo, Curiel insisteva sempre al fine di spingerci a compiere un’azione di propaganda; a non considerarli in nessun caso perduti per sempre. Ci spiegava in quali condizioni essi probabilmente avevano dovuto piegarsi ai bandi e alle minacce poste in atto per arruolarli. Ci invitava ad un lavoro serio per organizzare la disgregazione tra essi. Vedeva insomma anche in loro delle forze viventi in sviluppo e non solo delle divise. Ed anche in ciò era profondamente umano, cioè politico”.

Significativa dunque la citazione che Gatto fa di questo personaggio nella sua poesia, ma il nostro invito conclusivo è a riflettere soprattutto sulle parole dell’ex partigiano, che all’epoca del suo ingresso nel Fronte della gioventù era uno studente di filosofia dell’ateneo milanese, allievo di Antonio Banfi: frasi semplici e chiare, ma che appaiono ancora profonde e degne di meditazione da parte nostra.

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