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IL CIELO E’ ROSSO SOPRA BERLINO

Nel parlare brevemente di Evgenij Chaldej, fotografo sovietico attivo per buona parte del Novecento, saranno per noi importanti i nomi di tre città.

La prima è Juzovka, nell’Ucraina Orientale, dove Evgenij nacque, il 23 marzo del 1917, l’anno della rivoluzione. Lì, come in tante altre località dell’impero zarista ormai pronto a cadere, andavano di moda i pogrom, le cicliche esplosioni di violenza antisemita, e quando il nostro personaggio era ancora un neonato ve ne fu uno assai violento che costò la vita a sua madre. La seconda località è Murmansk, porto sul Mare di Barents, già all’interno del Circolo Polare Artico. Lì ritroviamo Chaldej, presto appassionatosi alla fotografia; ha trovato un impiego presso l’agenzia Tass a Mosca, poi è divenuto fotoreporter dell’Armata Rossa. E’ proprio da Murmansk che parte la controffensiva russa, destinata a procedere inesorabilmente fino a Berlino. E nella capitale del III Reich, il fotografo giungerà puntuale al suo appuntamento professionale con il destino, per scattare la foto più importante della sua carriera. Si tratta di un’immagine che fa il paio con quella di Joe Rosenthal ad Iwo Jima, che pure abbiamo ricordato poche settimane fa. Anche in questo caso un’icona di vittoria, un singolo soldato, in questo caso, che issa una bandiera in cima a un luogo simbolo strappato al nemico, addirittura il Reichstag, che aveva conosciuto le fiamme all’inizio della tragica avventura hitleriana e che le rivive amplificate a dismisura nel momento in cui il folle criminoso sogno germanico sta crollando in pezzi. Era il 2 maggio del 1945, ed anche in questo caso si ha, più che il sospetto, la certezza che tutto sia stato preparato e che ben poco di rubato di peso alla realtà vi sia. Ma tant’è, queste faccende vanno spesso così, e l’effetto è ugualmente eccezionale. Poi il fotografo svolgerà altri reportages importanti, quale quello che lo vede impegnato al processo di Norimberga. Negli anni immediatamente successivi i fantasmi dell’antisemitismo russo si riaffacciano nella sua vita, con la perdita dell’impiego alla Tass e la condanna alla marginalità, che cessa solo con la morte di Stalin. Assunto poi dalla Pravda, gira il mondo per numerosi servizi, fino ad un nuovo allontanamento dai ruoli di primo piano, nel 1972. Negli anni Novanta torna l’interesse per il suo lavoro, in patria ed anche a livello internazionale, con varie mostre a lui dedicate. Muore a Mosca nel 1997, quando anche l’impero sovietico aveva ormai da tempo visto calare il sipario sulla sua vicenda, tragica come tanti momenti del Novecento.

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