Può essere interessante qualche riflessione ispirata allo scandalo Watergate, una vicenda che mise la parola fine alla carriera di un noto presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, del partito repubblicano.
I fatti avvennero tra il 1972 e il ’74. In sostanza si trattò di un tentativo di spionaggio politico in una sede del partito avversario, quello democratico, in vista della competizione elettorale che avrebbe dovuto portare alla rielezione di Nixon, che aveva già espletato quasi per intero un primo mandato. L’ufficio che fu violato da spie legate al partito repubblicano era collocato in un vasto complesso residenziale e direzionale di Washington D. C. denominato Watergate.
Il fatto sarebbe potuto anche passare sotto silenzio, ma la tenace inchiesta giornalistica di due redattori del Washington Post portò alla scoperta di quanto era avvenuto. Venne fuori anche che il presidente, che nel frattempo era stato rieletto, non era ignaro di queste trame e che aveva anche cercato di insabbiare le indagini. Nell’estate del ’74 Nixon, ormai vicino ad essere messo sotto accusa, fu costretto a dimettersi. Gli subentrò il vicepresidente Gerald Ford.
La vicenda suscitò un clamore enorme, e da questo è scaturito l’uso giornalistico di coniare neologismi caratterizzati dalla presenza del suffisso –gate: ad esempio Irangate, Sexgate, Russiagate, sempre allo scopo di trovare una definizione sintetica per scandali politici di una certa rilevanza.
Poche parole a proposito dell’Irangate, forse il più interessante tra i casi citati. Si tratta di fatti degli anni ’80, avvenuti all’epoca del secondo mandato di Ronald Reagan, un presidente repubblicano che seppe conquistarsi molte simpatie presso i suoi connazionali, ma fu al contempo molto discusso, specie all’estero.
La vicenda riguarda l’Iran, stato mediorientale tra i più importanti per estensione e per rilevanza strategica, essendo tra l’altro un grande produttore di petrolio. In Iran si era verificata nel 1979, una rivoluzione epocale: il monarca che governava il paese da molti anni, alternando il pugno di ferro a tentativi di riforme modernizzanti, fu costretto a fuggire da una sollevazione popolare. Il potere passò nelle mani del clero musulmano scita, e capo supremo fu nominato l’ayatollah Khomeini, un anziano religioso molto amato che da anni era stato costretto all’esilio a Parigi. Fu imposta la legge islamica, ovvero la politica del paese fu impostata sulla base dell’applicazione stretta di tutti i dettami del Corano, e lo stesso avvenne anche per l’amministrazione della giustizia.
I cittadini iraniani accettarono tutto ciò in maniera spesso entusiastica, anche se non mancarono casi di oppositori perseguitati dal nuovo regime, che negli anni non è apparso per nulla più liberale del precedente, e tuttavia resiste da allora sino ad oggi.
Un altro particolare di estrema importanza: l’Iran del nuovo regime si presentò fin dai primi giorni come decisamente ostile agli Stati Uniti, accusati di aver sfruttato a lungo – in passato – le risorse petrolifere del paese, con il favore del sovrano deposto. Mentre avveniva la rivoluzione, la folla assediò l’ambasciata Usa nella capitale Teheran, finché quasi tutti i dipendenti americani furono presi in ostaggio. Solo dopo una lunga trattativa i prigionieri furono rilasciati, ma ci volle un anno abbondante, e l’umiliazione per l’America fu grande, anche perché un tentativo di liberare gli ostaggi con un’azione militare fallì miseramente.
L’Iran era quindi una nazione nemica degli Stati Uniti. Tuttavia, pochi anni dopo il ’79, mentre era in corso una guerra tra lo stesso Iran e il vicino Iraq, gli Usa decisero di vendere segretamente armi proprio all’Iran. Con i proventi di questa operazione poi, il governo americano finanziò, in Nicaragua, nazione centroamericana, dei guerriglieri locali ostili ad un governo comunista rivoluzionario che si era imposto anni prima.
Anche questo fu un atto realizzato non certo alla luce del sole, ma divenne di dominio pubblico e il presidente Reagan fu messo sotto inchiesta nel 1987, rischiando di non poter portare a termine il suo secondo mandato. Il potente uomo politico si salvò dall’accusa di aver approvato personalmente tutto ciò, anche se fu censurato per quella che potremmo definire mancata vigilanza.
Sul caso Watergate sono stai realizzati vari film, il più importante dei quali è “Tutti gli uomini del presidente”, datato 1976, con Robert Redford e Dustin Hoffmann, due famosissimi attori che impersonarono i giornalisti del Post responsabili dell’inchiesta che svelò lo scandalo.
Più recente è “Frost/Nixon – Il duello”, la vera storia di una serie di interviste televisive attraverso le quali il presidente dimissionario voleva riacquistare credibilità. Frost è un giornalista di origine inglese non molto accreditato, non per lo meno in campo politico; è solito più che altro intervistare attori e cantanti, e tutti lo sconsigliano di portare avanti questo nuovo incarico, nella convinzione che un politico abile come Nixon riuscirà di sicuro a sovrastare Frost. All’inizio le cose sembrano andare proprio così, ma nel finale Frost mette in difficoltà l’ex presidente, che ammette le sue responsabilità nello scandalo.
Ancora più recente è “Argo” film diretto dal noto attore Ben Affleck e che racconta un’altra storia vera, questa relativa alla vicenda degli ostaggi americani in Iran: solo sei dipendenti dell’ambasciata americana erano riusciti a uscire in tempo dall’edificio prima dell’irruzione dei simpatizzanti del nuovo regime. Queste persone si erano rifugiate nell’ambasciata canadese: i sei erano però ricercati, e un agente della Cia riuscì a salvarli guidandoli fuori dai confini dell’Iran servendosi di una incredibile messa in scena: fingendo di non essere americano, ottiene i permessi per girare in terra iraniana alcune riprese per un film di fantascienza, facendo passare i ricercati per membri della troupe cinematografica. Terminate le finte riprese, riesce a lasciare l’Iran con i connazionali, evitando loro le gravi conseguenze facili da immaginare. Il film fu premiato con tre Oscar nell’anno 2013.