A parte il bianco e nero e una certa contiguità temporale, neppure troppo accentuata (il primo è del 1957, il secondo del 1965), “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman e “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli hanno ben poco in comune. L’opera del maestro svedese ci appare come un grande affresco medievale filtrato attraverso lo sguardo inquieto di un uomo del ‘900 e, nello stesso tempo, propone una riflessione universale su temi come l’ineluttabilità della Morte, il conflitto tra fede e ragione, il valore dell’amicizia e dell’amore. Nel suo terzultimo film, invece, il regista romano (autore anche di altri apprezzabili lavori, quali “Fantasmi a Roma” e “Il magnifico cornuto”), concentra il suo sguardo sull’Italia del tardo boom economico, in cui appare chiaro lo scontro tra chi ha fatto del cinismo il suo habitus mentale e gli illusi che credono alla moderna favola della possibilità di affermazione in quella che Guy Debord chiamerà “la società dello spettacolo”. Il titolo allude, infatti, alla protagonista del film, Adriana (interpretata da un’eccellente Stefania Sandrelli), che approda a Roma dalla provincia nella speranza di sfondare nel cinema, ma che finirà per suicidarsi dopo essere inutilmente passata da un letto all’altro, in cerca di una raccomandazione, o forse di un senso per la sua esistenza.
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IL VISIONARIO – OMAGGIO A BELLOCCHIO, INDAGATORE DELLO SGUARDO E DELLA MENTE
Bobbio, piccolo centro in provincia di Piacenza, non è famoso solo per la celebre abbazia fondata nell’alto Medio Evo da San Colombano, ma anche per aver dato i natali, il 9 novembre del 1939, a un famoso regista. Si tratta di Marco Bellocchio, che può essere senza alcun dubbio considerato tra i massimi autori italiani della settima arte. Nonostante una produzione vasta e continua nel corso dei decenni, il suo nome è indissolubilmente legato all’esordio folgorante del 1965, “l pugni in tasca”, un violento atto d’accusa contro l’oppressione della famiglia, un ritratto d’interno borghese che culmina in una tragedia della follia.
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“Un futuro invadente, fossi stato un po’ più giovane…” – Analisi di In time di Andrew Niccol
1997: in Gattaca di Andrew Niccol, Ethan Hawke interpreta un ragazzo che – in un futuro nel quale il “sistema” offre chances solo agli adatti, cioè ad esemplari umani perfetti frutto di manipolazioni genetiche – cerca di arrivare lontano solo con le sue forze. 2011: lo stesso regista neozelandese – noto anche per aver firmato la sceneggiatura di The Truman show – gioca di nuovo con In time (2011) la carta della fantascienza come medium per veicolare significative riflessioni sul destino dell’individuo e sul rischio di profonde ingiustizie in ipotetiche società del futuro caratterizzate dal sopravvento della scienza e della tecnica sui valori umani.
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