Archivio della categoria: Letteratura

appunti su scritti e autori di ogni tempo.

Cicerone

Delitto e castigo ai tempi di Cicerone

Temeritas et libido et ignavia semper animum excruciant et semper sollicitant turbulentaeque sunt, sic improbitas, si cuius in mente consedit, hoc ipso, quod adest, turbulenta est; si vero molita quippiam est, quamvis occulte fecerit, numquam tamen id confidet fore semper occultum. Plerumque improborum facta primo suspicio insequitur, dein sermo atque fama, tum accusator, deinde iudex; multi etiam ipsi se indicaverunt. Quodsi qui satis contra hominum conscientiam saepti esse et muniti videntur, deorum numen horrent easque ipsas sollicitudines, quibus eorum animi noctesque diesque exeduntur, a diis immortalibus supplicii causa importari putant. Quae autem tanta ex improbis factis ad minuendas vitae molestias accessio potest fieri, quanta ad augeendas, cum conscientia factorum, tum poena legum odioque civium? Et tamen in quibusdam neque pecuniae modus est neque honoris neque imperii nec libidinum nec epularum nec reliquarum cupiditatum, quas nulla praeda umquam improbe parta minuit, sed potius inflammat, ut coercendi magis quam deducendi esse videantur. Continua a leggere

giovane-ragazzo

Azione e vendetta – Le fragilità dell’uomo moderno nei grandi scrittori russi

Ricco di suggestioni squisitamente cechoviane, il racconto “Vicini”, di cui ci siamo occupati ultimamente, offre anche significative possibilità di collegamento con altri importanti testi, a proposito di un tema tutt’altro che marginale nella letteratura europea del periodo a cavallo tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del ‘900.
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chechov

“Vicini”, di Anton Cechov

Petr Michaijlyc Ivasin era di pessimo umore: sua sorella, una ragazza, s’era trasferita da Vlasic, uomo sposato. Per sollevarsi in qualche modo dallo stato d’animo greve, depresso che non lo abbandonava né a casa né in campagna, chiamava in suo aiuto il senso di giustizia, le sue vedute oneste, positive (era pur sempre per l’amore libero!), ma non serviva, e senza rendersene conto arrivava ogni volta alla conclusione della stupida balia, ossia che sua sorella s’era comportata male, e che Vlasic aveva rapito sua sorella. Ed era un tormento.

Sua madre non usciva dalla sua camera per tutto il giorno, la balia parlava in un sussurro e non faceva che sospirare, la zia era ogni giorno in partenza, e ora portavano le sue valigie in anticamera, ora le riportavano in camera. In casa, in cortile, in giardino c’era un silenzio da far sembrare che ci fosse un morto in casa. La zia, la servitù e persino i muziki, così sembrava a Petr Michaijlyc, lo guardavano enigmatici e anzi perplessi, quasi volessero dire: “Hanno sedotto tua sorella, cosa te ne stai senza fare niente?”. E si rimproverava senza fare niente, anche se non sapeva di preciso in cosa consistesse il fare. […]

Aveva solo ventisette anni, ma era già grasso, si vestiva da vecchietto in abiti larghi e ampi e a volte gli mancava il fiato. In embrione aveva già tutte le caratteristiche del vecchio proprietario scapolo. Non si innamorava, al matrimonio non pensava e voleva bene solo alla madre, alla sorella, alla balia e al giardiniere. Gli piaceva mangiare bene, fare un riposino dopo pranzo, discutere di politica e di argomenti elevati… A suo tempo si era laureato all’università, ma ora gli sembrava di aver prestato un servizio obbligatorio per i giovani di età compresa tra i diciotto e i venticinque anni; perlomeno le idee che ora ogni giorno gli frullavano per la testa non avevano nulla a che vedere con l’università e con le discipline che aveva studiato. […]

Per i campi era calmo e tranquillo come prima della pioggia. Nel bosco era afoso e si diffondeva un odore greve, fragrante di pini e di foglie putrefatte. Petr Michaijlyc si fermava spesso e si asciugava la fronte bagnata. Esaminò le colture vernine e primaverili, attraversò il campo di trifoglio e un paio di volte cacciò dal suo cammino una pernice con i pulcini; e per tutto il tempo pensava che questo umore insopportabile non può durare in eterno e che in una maniera o nell’altra bisogna farlo finire. Farlo finire in modo sciocco, barbaro, ma farlo finire senz’altro.

“Ma come, che fare?” si domandava, e lanciava occhiate supplichevoli al cielo e agli alberi, come chiedendo loro aiuto.

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scrivano

Un generale spia di nascosto l’animo dei soldati

Questo è il titolo del brano di Tacito di cui parlavo nell’intervento precedente, secondo quanto riporta Ludovico Griffa nel suo testo di versioni latine “Instrumenta”, pubblicato dalla casa editrice Petrini. Rispetto all’originale d’autore (l’opera è, lo ricordiamo, gli “Annales”, ll libro), il curatore ha optato per una semplificazione sintattica, ma questo poco conta rispetto al confronto con la scena del dramma shakespeariano che avevo citato. Ecco dunque il racconto in latino:
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Che ve ne sembra dell’eroe? Una sorprendente analogia tra Tacito e Shakespeare

Da anni ormai l’ “Enrico V” shakespeariano rappresenta un momento irrinunciabile del mio dialogo educativo e culturale con gli studenti del triennio. I motivi sono numerosi, e mi riservo di esporli in una prossima occasione, ma al momento potrei limitarmi ad affermare che il dramma storico culminante con la battaglia di Azincourt, vinta dal giovane sovrano inglese sul suolo francese nel corso della Guerra dei Cento anni, sembra contenere una perfetta applicazione pratica dei precetti espressi da Machiavelli nel “Principe”. In questo contesto risulta quanto mai efficace, come supporto didattico, il film che, sulle orme del grande maestro Laurence Olivier, Kenneth Branagh ha diretto e interpretato nel 1989.
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carnia

Analisi del “Comune rustico” di Carducci

Da un punto di vista scolastico, la figura di Carducci ha avuto una sorte piuttosto particolare. Vate nazionale per antonomasia, ha goduto sicuramente di vasta fortuna nel periodo che va dalla realizzazione dell’unità d’Italia alla caduta del fascismo. Dagli anni ’50 in poi, però, il suo mito fu oggetto di ripetuti e concentrici attacchi, e presto si arrivò alla clamorosa definizione dell’illustre critico Natalino Sapegno, che abbassò l’autore delle “Odi barbare” al modesto rango di poeta “minore”. Affermazione che sarebbe suonata blasfema solo due o tre decenni prima. Inevitabilmente, lo spazio concesso a Carducci nei programmi e nelle antologie scolastiche diminuì, e fiorirono nei suoi confronti le accuse di insopportabile retorica, nello stesso momento in cui cresceva, nei licei italiani, il fascino dei poeti italiani del Novecento (Montale in primis) o, volendo tornare al XIX secolo, di autori stranieri quali i maudits francesi, da Baudelaire a Rimbaud.
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