Di scene di caccia infernale, il Medio Evo non è certo avaro: le più famose sono quella del XV canto dell’Inferno dentesco (ma, se vogliamo, ha lo stesso valore anche il sogno del conte Ugolino, nel penultimo canto della stessa cantica), e quella descritta da Jacopo Passavanti nella novella “Il carbonaio di Niversa”, all’interno del suo “Specchio di vera penitenza”. Ma ci voleva il Boccaccio, con la sua visione del mondo naturalistica e con il suo gusto per la vita gioiosamente vissuta, per rovesciare, non senza un tocco di malizia, i termini della questione e trasformare la spaventosa vicenda nello strumento utile al coronamento di un sogno d’amore, nonché in una lezione di umiltà per una ragazza un po’ troppo superba.
Storia di un Botticelli boccaccesco (e pentito)
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