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Benny alla Carnegie – Quando il jazz supera le convenzioni…

Il 16 gennaio 1938 è una data assai importante nella storia del jazz, perché fu in quella fredda serata newyorkese che la Big Band di Benny Goodman si guadagnò il diritto di esibirsi in quello che fino a quel momento era stato considerato come un tempio della musica classica, la Carnegie Hall, fatta erigere nel 1890 dal filantropo Andrew Carnegie, con sede al numero 881 della Seventh Avenue, Manhattan.

Carnegie Hall

Goodman si era fatto un nome nel periodo immediatamente successivo al crollo di Wall Street del 1929. Specializzato nel suonare il clarinetto, era passato dalla collaborazione con l’orchestra di Ben Pollack alla formazione di un proprio gruppo (in cui, tra l’altro, per la prima volta musicisti bianchi e neri suonavano fianco a fianco, senza discriminazioni di sorta) col quale aveva inciso già numerosi dischi, che avevano attirato l’attenzione anche di un pubblico non concentrato esclusivamente sull’ascolto del jazz. Grande era dunque, per molti motivi, l’aspettativa per l’esibizione alla Carnegie, con tutti i 2760 biglietti disponibili esauriti già da settimane, nonostante i prezzi non propriamente popolari. Le cronache dell’epoca parlano di un pubblico certo ben disposto, ma inizialmente non eccessivamente coinvolto, che però si scaldò pezzo dopo pezzo, anche grazie a delle jam sessions cui presero parte, in veste di ospiti, personaggi del calibro di Lionel Hampton e Count Basie. Il trionfo fu però assicurato da un pezzo travolgente: Sing, sing, sing, standard di sicura presa composto due anni prima dall’italo-americano nato a New Orleans da Louis Prima.

Il brano evoca sensazioni tribali e selvagge, rifacendosi alle atmosfere “jungle” particolarmente gradite al pubblico bianco che affollava locali come il Cotton Club (quello immortalato dall’omonimo film di Coppola) e il Plantation Club negli anni del Proibizionismo, quando musicisti come Duke Ellington  e Cab Calloway erano pressoché costretti a suonare musica sfrenata e travolgente e ciò era sentito quasi come un sopruso razzista dal popolo afroamericano.

Cotton-Club

Sing, sing, sing  è  comunque costruito in maniera tale da lasciare ampio spazio alle improvvisazioni e agli assoli di diversi strumenti; nella storica esecuzione della Carnegie Hall spiccano i virtuosismi dello stesso Goodman, del batterista Gene Krupa (ed è un fatto eccezionale, dal momento che in precedenza gli assoli dei percussionisti non erano previsti) e del pianista Jess Stacy. Dell’esibizione esiste anche una fortunosa registrazione da cui nel 1950 è stato ricavato un doppio LP che è entrato nella storia della discografia jazz.

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Il brano su cui ci siamo soffermati in particolare è stato usato molto spesso nelle colonne sonore di film famosi: più volte da Woody Allen (ad esempio in Misterioso omicidio a Manhattan), naturalmente, data la sua passione per il jazz e per il clarinetto; ma anche da Martin Scorsese (in Casino), da Peter Bogdanovich (in ...e tutti risero) e da Bob Fosse ( in All that jazz).

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