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Uomini, soffittizzatevi! (ma non imitate Landru)

“Uomini di genere maschile”, apostrofa Totò un uditorio che immagina fatto tutto di mariti frustrati e maltrattati da mogli invadenti e con un eccessiva predisposizione all’autoritarismo; “contro il logorio della donna moderna”, continua a scandire mentre i suoi toni si fanno sempre più parodicamente mussoliniani, “soffittizzativi”.

E lui, vittima non solo di una consorte “pesante” (Ave Ninchi), ma anche di una figlia cui bisogna a tutti i costi trovare un marito, è il primo a dare l’esempio in “Totò e le donne” (1952, regia congiunta di Steno e Monicelli): si è “soffittizzato” (termine ricavato dal preesistente “sovietizzato”, di stringente attualità in tempi di guerra fredda), ossia ha ricavato in soffitta uno spazio in cui rifugiarsi, almeno per qualche ora, specie di sera, per starsene in santa pace a leggere in santa pace romanzi gialli in cui, per lo più, l’assassino è un marito! Non solo: nel suo “buen retiro”ha innalzato un altarino sul quale campeggia la foto di un uomo calvo, con la barba, nell’insieme abbastanza inquietante.

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È Henri Désiré Landru, il celeberrimo assassino seriale che, nella Francia degli anni ’10, uccise dieci donne, che aveva attirato, una dopo l’altra, con la promessa di un matrimonio. Le malcapitate, tutte benestanti, sole e non più giovani, venivano indotte dal convincente Henri, che fingeva di essere un ricco e distinto signore, le induceva a firmare una procura grazie alla quale poteva disporre dei loro beni, venivano soppresse e bruciate in una villa isolata che lui aveva affittato a tale scopo. Oltre alle donne, fece la stessa fine anche un ragazzino, figlio di una di esse. Landru fu arrestato nel ’19, sottoposto ad un processo che appassionò l’intera Francia e, nonostante il suo atteggiamento beffardo nei confronti della corte e l’accanita difesa dell’avvocato Moro-Giafferi, fu condannato a morte. La richiesta di grazia fu respinta dal Presidente della Repubblica francese il 24 febbraio 1922; alle 6 di mattina del giorno dopo, la lama della ghigliottina scese sul collo del serial killer, consegnandolo per sempre ad una macabra leggenda.

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Inutile dilungarsi nel ricordare che, una ventina abbondante di anni più tardi, Charlie Chaplin trasse ispirazione da questa drammatica vicenda per uno dei suoi film più famosi, ” Monsieur Verdoux” (1948). Le affinità tra le due storie, quella reale e quella cinematografica, sono molto spiccate: non solo il nome di battesimo dei protagonisti è identico, ma anche il cognome del personaggio chapliniano, al di là della grafia, è caratterizzato da un’evidente assonanza con quello di Landru. Anche Verdoux, come il vero criminale, ha una sua famiglia da mantenere con i proventi della sua sanguinaria attività. Il buffo omino coi baffi, spietato erede di Charlot, viene però presentato come una vittima della crisi del ’29, ed è memorabile la sua autodifesa in tribunale, in cui accusa l’intera società, colpevole tra l’altro di perseguitare un uomo, dopo averlo ridotto sul lastrico per alcuni omicidi, mentre è pronta a idolatrare chi massacra intere popolazioni, ponendosi a capo di una nazione e guidandola alla guerra.

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Concludo ricordando che, probabilmente, oggi nessun attore comico oserebbe, citare scherzosamente Landru, come fa Totò nel film prima ricordato: la nostra epoca sta sviluppando una forte sensibilità rispetto alla piaga del femminicidio, e questo è un bene, indubbiamente. Ma sono certo che la carica di allegria e la profonda innocenza del principe partenopea della risata lo metteranno al riparo da qualsiasi accusa postuma di politically uncorrectness.

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