duck_you_sucker_Rod Steiger-James Coburn.

Giù la testa, c’è la Revolución!

Sole a picco, sudore e luce accecante. Poi polvere, peones dalla pelle olivastra e gringos biondi ma comunque divenuti bronzei anch’essi, e tutti comunque ispidi e mal rasati. Revolver, fucili, cariche esplosive da usare per una rapina in banche o contro l’esercito regolare; assalti ai treni, le prime moto o automobili che siano, scorrerie a cavallo e grida come “¡Que viva Mexico!” e “¡Viva la Revolución!”. Non c’è già materiale per qualche decina di film?

E infatti il cinema non si è lasciato sfuggire questa opportunità: Elia Kazan, Sergio Leone e altri registi del filone spaghetti-western magari declinato in chiave anti-colonialistica e post-sessantottina, e addirittura Ėjzenštejn, quello della mitica “Corazzata Potëmkin”, sono alcuni tra gli autori che potremmo citare in una rapida carrellata sui film legati alla Rivoluzione messicana del 1911, quella di Emiliano Zapata e Pancho Villa, di Francisco Madera e Victoriano Huerta, e in cui ebbero un ruolo altri personaggi straordinari, come Peppino Garibaldi, nipote dell’eroe dei due mondi, e Oscar Creighton, l’avventuriero americano noto anche con l’eloquente pseudonimo di Dynamite Devil!

Alcuni fanno iniziare la rivoluzione messicana proprio il 7 marzo 1911, ed in questo senso si è espressa anche Rai Storia attraverso i suoi brevi video che rievocano quotidianamente i fatti storici del giorno. In effetti, tra il febbraio e il marzo di quell’anno, la lotta contro il dittatore Porfirio Díaz – che era al potere ininterrottamente dal 1884 – si intensificò particolarmente, con il rientro in patria di Francisco Madero, il capo dell’opposizione che, dopo una sconfitta elettorale, aveva elaborato un piano per rovesciare Díaz. Fondamentale fu, in varie zone del paese, la collaborazione dei personaggi suddetti, ed anche di Venustiano Carranza e Álvaro Obregón. Le dimissioni di  Díaz avvennero nel maggio, la nomina di Madero a presidente nel novembre dello stesso anno. La situazione non arrivo affatto, però, ad una pacificazione, perché a Madero fu rimproverato di aver preso il potere senza una concreta attuazione del programma di giustizia sociale che aveva ispirato la rivoluzione. Le sollevazioni dei vari capi peones continuarono, e il nuovo presidente fece ricorso ad un ex collaboratore di Díaz, Victoriano Huerta, che lo servì egregiamente nell’opera repressiva, ma andò anche oltre, facendo imprigionare ed assassinare lo stesso Madero, nel febbraio del 1913.

Fu questo il periodo in cui si recò in Messico, attirato dalla possibilità di conoscere Pancho Villa e di scrivere di lui, anche il giornalista americano John Reed, famoso per aver poi seguito in “presa diretta” la rivoluzione russa dell’ottobre 1917, traendone il celebre reportage “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”. Anche il regime di Huerta ebbe breve durata, e continuarono invece i conflitti tra i vari capi rivoluzionari, dai quali sia Villa che Zapata uscirono sconfitti e uccisi (il primo nel ’23, il secondo ancor prima, nel ’19). Ma qui mi fermo.

Se vogliamo, invece, parlare brevemente di cinema, è di nuovo dal collegamento con la rivoluzione russa che dobbiamo partire, perché all’inizio degli anni ’30 fu il maestro del cinema sovietico in persona, il grande Ejzenštejn, a concepire l’idea di un vasto affresco cinematografico sul Messico, che doveva arrivare a comprendere un episodio sulla rivoluzione, dal titolo “Soldadera”. Le riprese vennero effettuate sul posto, con la collaborazione di produttori progressisti americani, ma le difficoltà furono notevoli, e Stalin ordinò al maestro di rientrare in patria. Così il progetto originale, che doveva intitolarsi “¡Que viva Mexico!”, non andò in porto. Fu il romanziere e produttore statunitense Upton Sinclair a far montare il materiale girato, che fu poi proiettato a New York nel 1933 col titolo “Lampi sul Messico”, altra cosa rispetto all’idea iniziale, e comunque non privo di grandezza. Esistono anche altre versioni, montate in Urss molto più tardi, quando la grande quantità di pellicola fu rimandata dall’America in terra russa, e molti studiosi considerano queste realizzazioni piuttosto fedeli (per quanto possibile, ovviamente) a quello che il regista aveva in mente fin dall’inizio.

“Viva Zapata” è invece un film del 1952, che si configura come una biografia romanzata del celebre rivoluzionario, realizzata dalla celebre coppia Kazan-Brando. Solenne ed epico, quanto poco interessato ad una precisa ricostruzione storica, il lavoro ha il suo punto di forza nella notevole fotografia di Joe McDonald. Valida, ovviamente, anche l’interpretazione di Brando, mentre è a Kazan (e a John Steinbeck, sceneggiatore d’eccezione), che si deve attribuire lo scetticismo sulle rivoluzioni, che comportano sempre il rischio della burocratizzazione di regime e del culto della personalità. Ad Anthony Quinn, nella parte del fratello del protagonista, andò l’Oscar come miglior attore non protagonista.

E non si può concludere senza citare il nostro grande Sergio Leone che, con il celebre “Giù la testa”, realizza nel 1971 il suo film politico per eccellenza; a cominciare dalla celebre citazione iniziale di Mao Tse Tung, “La Rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La Rivoluzione è un atto di violenza”. James Coburn interpreta uno di quei professionisti della guerrilla venuti dal mondo anglosassone mossi da puri ideali e poi costretti a venire a patti con la vita e con le sue durezze; Rod Steiger, incontenibile ed istrionico, veste invece i panni di un volgare bandito di strada che pensa solo a sé e alla sua numerosa prole, ma che poi finisce, controvoglia, per unirsi ad una rivoluzione che gli appartiene più di quanto egli stesso non voglia ammettere. Film molto discusso, amato da alcuni, criticato da molti, possiede però certamente il respiro epico del Leone già avviato alla maturità, e si avvale di ottimi interpreti (tra i quali anche un ottimo Romolo Valli) e delle splendide musiche di Ennio Morricone. 

Messico terra votata alla narrazione cinematografica, dunque. Con una rivoluzione sostanzialmente fallita, dalla quale uscirà vincitrice una borghesia apparentemente soddisfatta, in realtà percorsa da sottili inquietudini e da vistose contraddizioni che troveranno un sulfureo fustigatore in un altro gigante della settima arte, Luis Buñuel. Provate a vedere “L’angelo sterminatore” e ve ne renderete conto.

 


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